Il rampollo del clan di Rosarno incontra i tifosi biancocelesti per discutere di un gemellaggio con gli interisti. Poi rivela a Ferdico la presenza «da 20 anni» del suo clan in una Capitale che «non è di nessuno»
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«Roma non è di nessuno, fidati… Milano è più controllabile». C’è un piccolo compendio di sociologia criminale nella frase che Antonio Bellocco rivolge al suo amico Marco Ferdico, uno dei capi ultrà del triumvirato che guidava la curva interista (il terzo era Andrea Beretta, che ha ucciso Bellocco a coltellate lo scorso 4 settembre). La considerazione fa da corollario a un discorso sui rapporti con alcuni tifosi della Lazio. Un passaggio, quello con i supporter biancocelesti che evidenzia, secondo i magistrati della Dda di Milano, il ruolo di Bellocco all’interno della curva Nord interista.
Bellocco, pur non essendo un tifoso storico dei nerazzurri, ha voce in capitolo anche sulle questioni che riguardano i gemellaggi. È per questo che commenta assieme a Ferdico e Matteo Norrito, altro esponente della tifoseria, l’incontro “chiarificatore” a Cernusco sul Naviglio «tra esponenti del direttivo della curva Nord e gli ultrà laziali, giunti da Roma appositamente per parlare della vicenda del gemellaggio».
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Nel dialogo intercettato, Bellocco ci tiene ad affermare la propria posizione di supremazia nel gruppo di vertice della curva interista. Spiega di aver parlato «personalmente, e in modo riservato, con uno degli ultrà laziali» e fa capire ai propri “soci” della Nord «di aver avuto un ruolo fondamentale nella circostanza perché, a suo dire, i laziali «volevano già chiuderla… non volevano neanche venire perché non sapevano che c’ero io».
Il rampollo del clan di Rosarno racconta altri dettagli del colloquio con l’ultrà laziale e si dice stupido del fatto che «lo aveva chiamato addirittura con il suo soprannome, un “alias” conosciuto soltanto nell’ambito familiare e giudiziario»: «Mi ha chiamato con il mio nomignolo “Totò”, gli ho detto: chi te l’ha detto? Oh, Totò, ma smettila, ti sei scordato?... Non mi sono scordato ma Totò mi chiama solo la mia famiglia e la Questura». Bellocco dà a intendere che i laziali si fossero informati sulle sue vicende giudiziarie. Un dettaglio non banale: i rapporti tra curve e clan sono nel mirino dell’antimafia in quasi tutto il Paese e questo contatto con Bellocco potrebbe non essere casuale.
Totò il nano utilizza, secondo gli inquirenti «un linguaggio da vero e proprio leader della curva e spiega ai laziali che «non è che posso spaccare la curva per un gemellaggio, se la curva non lo vuole, ho i c… miei in curva». La stima per gli ultrà biancocelesti non massima, almeno stando alle espressioni successive di Bellocco: «Antonio li conosce questi animalucci, questi non sono affidabili neanche fra di loro… neanche tra di loro si fidano… sono selvaggi».
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Il rosarnese rincara la dose e sminuisce «la caratura criminale degli ultrà laziali che aveva incontrato poco prima» e svela a Ferdico e Norrito «interessanti rivelazioni sulla criminalità organizzata presente nella Capitale». «Roma non è casa di nessuno, fidati», specifica Bellocco spiegando di essere ben informato perché «in quel territorio la sua famiglia avrebbe operato per 20 anni». Il rampollo del clan usa un tono confidenziale: «Fidati, siamo stati 20 anni là e tuttora ci siamo… Roma non è di nessuno, Roma è selvaggia». Ferdico, che per gli inquirenti subisce molto la fascinazione della criminalità organizzata, prova a piazzare un’osservazione da espero: «Come Milano, non è di nessuno… non pensare che è di qualcuno… però Roma è più cattiva… Roma ha cani sciolti». La chiosa di Bellocco è quella di un uomo che ha mire alte sul territorio in cui si è trasferito: «Milano è più controllabile».
Il suo atteggiamento nei mesi in cui ha preso il potere in curva richiama direttamente questa idea: Totò il nano vuole controllare Milano, o almeno quel pezzo che macina affari criminali sugli spalti di San Siro. Il suo decisionismo gli attirerà le ire di ultrà messi da parte e di altri che avevano messo gli occhi sulla curva Nord. In entrambi i casi, Bellocco dovrà affrontare chiarimenti – anche molto tesi – con emissari delle cosche calabresi. Che Milano sia più «controllabile» è un concetto condiviso da molti clan di ’ndrangheta: il risultato è una sorte di pace armata che l’arrivo (e poi la morta violenta) del giovane rosarnese ha rischiato di spezzare.