Un processo infinito. Tra gli imputati l’ex assessore regionale e il dirigente Pasqualino Ruperto. Uno degli episodi contestati riguarda l’assunzione del cognato del boss Luigi Mancuso
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Si asciuga, per intervenuta prescrizione, il processo Robin Hood-Calabria Etica che vede riuniti due procedimenti che molto scalpore fecero quando scattarono le indagini che accesero i fari sul dipartimento Lavoro della Regione Calabria e sugli enti in house, gestiti, secondo le accuse, in maniera del tutto privata e personale.
Una recente sentenza del Tribunale di Catanzaro – ha estinto per prescrizione i reati di abuso di ufficio e di turbativa d’asta decretando il proscioglimento di Vincenzo Caserta, Antonio Cusimano, Michele Parise, Gabriella Tadiana, Sonia Libico, Domenico Pisano, Maurizio Scerra, Ulisse Mancari e Caterina Ferrante. Restano in piedi i reati di abuso d'ufficio aggravato dalle modalità mafiose, la corruzione, il peculato, l'estorsione aggravata. Per altri imputati il processo proseguirà il prossimo 14 maggio, con la consueta lentezza visto che ha preso piede ad aprile 2018.
Ma procediamo con ordine.
Il caso Calabria Etica
Il procedimento Calabria Etica prende il nome dal dismesso ente in house delle Regione Calabria all’interno del quale l’allora presidente Pasqualino Ruberto a pochi mesi dalle elezioni regionali del 2014 aveva contrattualizzate a progetto 251 persone, avviando quattro progetti che non erano stati oggetto di alcun affidamento da parte della Regione Calabria. Lo scopo, secondo l’accusa, era quello, del tutto personalistico, di creare consenso politico, tanto che la mancanza di un avallo amministrativo e finanziario per tali progetti portò – dopo lo scoppio del caso e le indagini da parte della magistratura – a dichiarare nulli, in autotutela, i contratti stipulati.
L’inchiesta Robin Hood
Per quanto riguarda l’indagine Robin Hood gli inquirenti puntarono i fari sulla distrazione di fondi destinati alle famiglie e più povere – il progetto Credito Sociale – dirottati, con manovre ritenute illecite, sulla Cooperfin Spa di Ortensio Marano, società esterna alla Regione. Secondo l’accusa, la gestione del Credito sociale sarebbe stata, con pressioni e minacce, sottratta a Fincalabra, ente in house della Regione, e destinata all’ente Calabria Etica, presieduta all’epoca da Pasqualino Ruberto, incapace, diversamente da Fincalabra, di occuparsi della gestione economico-finanziaria richiesta dal progetto. Da Calabria Etica a Cooperfin il passo è stato breve. Questo avrebbe comportato, secondo l’accusa, un ingiusto vantaggio alla società finanziaria, rappresentato dalla successiva aggiudicazione del servizio di partnership, ed un danno diretto ed immediato alla Regione Calabria in termini di conseguimento dei targets dinnanzi all’Unione Europea e ritardo nello svolgimento del progetto, controllo del capitale del Fondo Credito Sociale. Secondo le ipotesi accusatorie, l’ex assessore regionale al Lavoro Nazzareno Salerno avrebbe pattuito, accettato e ricevuto una somma di denaro pari ad almeno 230.739,46 euro da Ortensio Marano (tramite la società Cooperfin spa di cui Marano è socio ed amministratore delegato) al fine di far ottenere alla società Cooperfin spa il contratto d’appalto.
Nazzareno Salerno rinuncia alla prescrizione
Nel corso dell’udienza il pubblico ministero, Graziella Viscomi, ha chiesto l’estinzione per prescrizione di alcuni reati e il conseguente non doversi procedere nei confronti degli imputati. I fatti contestati sono risalenti al 2014 per entrambe le vicende. A cadere in prescrizione sono i reati di di abuso d’ufficio (non aggravato) e turbativa d’asta.
Nel corso della stessa udienza hanno chiesto il proscioglimento nel merito, ovvero per assenza di gravi indizi di colpevolezza, a prescindere dall’evoluzione normativa sull’abuso d’ufficio, gli imputati Nazzareno Salerno e Martino Valerio Grillo che hanno rinunciato alla prescrizione.
Il pm, inoltre, ha dichiarato che l’attività istruttoria aveva dimostrato l’insussistenza dei rapporti di alcuni imputati con la criminalità organizzata facendo così decadere, da taluni capi di imputazione, l’aggravante mafiosa. Su questo punto il collegio – Teresa Lidia Gennaro presidente, Giada Maria Lamanna e Fortunata Esposito a latere – ha deciso di riservarsi. La decisione, su questo punto, arriverà con la sentenza.
Il proscioglimento di Caserta e Cusimano
Il Tribunale di Catanzaro ha dichiarato di non diversi procedere per intervenuta prescrizione nei confronti di Vincenzo Caserta, ex direttore generale reggente del dipartimento regionale Sviluppo economico, Lavoro, Formazione e Politiche sociali, riguardo a due ipotesi di reato di abuso d’ufficio, falsità ideologica commessa da pubblico ufficiale in atti pubblici e due ipotesi di turbativa d’asta (per quanto riguarda Robin Hood). Caserta era imputato anche in Calabria Etica e anche qui sono cadute in prescrizione tutte le accuse di abuso d’ufficio a suo carico.
Estinte per prescrizione anche le due accuse di abuso d’ufficio nei confronti di Antonio Cusimano, imputato in Robin Hood, componente del comitato di gestione, un organismo creato ad hoc, secondo le accuse, per occuparsi dell’istruttoria delle domande presentati dagli aspiranti al beneficio del Credito Sociale. L’altro componente del comitato di gestione, Grillo, come dicevamo, ha rinunciato alla prescrizione.
Le accuse nei confronti di Ortensio Marano
Non doversi procedere per prescrizione nei confronti di Ortensio Marano, legale rappresentante della società Cooperfin e amministratore delegato della M&M Management, per quanto riguarda i reati di abuso d’ufficio e turbativa d’asta. Nei confronti di Marano, e nei confronti della Cooperfin, resta in piedi l’accusa di corruzione poiché avrebbe pattuito, promesso ed effettivamente accreditato la somma di 230.739,46 euro all’assessore Salerno per far ottenere alla Cooperfin dei contratti di appalto. Marano, inoltre, deve ancora rispondere di peculato in concorso con Bruno Dellamotta. Secondo l’accusa avrebbero scientemente sottratto denaro destinato al Credito sociale per per fini personali e privati.
I reati prescritti in Calabria Etica e il peculato ancora contestato a Pasqualino Ruberto
Prescritti anche i reati di abuso d’ufficio e turbativa d’asta ricadenti su Pasqualino Ruberto, per quanto riguarda Robin Hood. Per l’ex presidente dell’ente in house cadono in prescrizione, inoltre, le accuse riguardanti il procedimento Calabria Etica, ovvero quattro ipotesi di abuso di ufficio. Resta in piedi l’accusa di peculato, secondo la quale, avendo la disponibilità dei fondi del Credito Sociale si sarebbe appropriato degli stessi usandoli per il pagamento di anticipazioni di stipendi dei collaboratori assunti illecitamente.
Sempre in tema Calabria Etica, cade l’accusa di abuso d’ufficio contestata a Michele Parise, presidente di una commissione esaminatrice per i progetti finanziati dalla fondazione e ritenuti dall’accusa «tutti dal contenuto fumoso, privi di concretezza e di riferimenti alle modalità di attuazione».
La stessa accusa cade in prescrizione per Tadiana Gabriele, presidente di un’altra commissione esaminatrice, e per i componenti delle commissioni Sonia Libico, Ulisse Mancari, Patrizia Nicolazzo, Maria Francesca Cosco.
Prescrizione anche per l’abuso d’ufficio contestato a Caterina Ferrante nella qualità di amministratore unico e legale rappresentante della Crc Consulting srl della quale era socio al 50% anche Ruberto. La Ferrante avrebbe ottenuto da Ruberto diversi incarichi professionali, compresa la consulenza contabile e fiscale della fondazione Calabria Etica, dal 2011 al 2015.
Il troncone Calabria Etica si chiude con una prescrizione anche per i revisori dei conti della fondazione Maurizio Scerra e Domenico Pisano accusati di avere consentito a Pasqualino Ruberto la commissione dei reati dei quali è accusato.
Estorsione aggravata per Salerno, Spasari e Ferrante
Mentre può considerarsi praticamente chiuso il processo Calabria Etica, nel troncone Robin Hood restano in piedi accuse molto pesanti a carico dell’ex assessore regionale al Lavoro Nazzareno Salerno. Oltre all’accusa di corruzione per avere accettato denaro da Marano al fine di fare ottenere alla Cooperfin dei contratti di appalto, c’è l’accusa di estorsione aggravata dal metodo mafioso nei confronti del dirigente del dipartimento Lavoro Bruno Calvetta, all’epoca direttore generale del dipartimento Lavoro. Un’accusa che, in fase cautelare, il 22 febbraio 2018, la Cassazione aveva derubricato in violenza o minaccia a pubblico ufficiale ma che è stata portata in giudizio come estorsione aggravata.
Un’accusa della quale Salerno deve rispondere in concorso con a Gianfranco Ferrante e a Vincenzo Spasari (considerati vicini alle famiglie di mafia Mancuso e Vallelunga). Calvetta – recita il capo di imputazione – avrebbe subìto pesanti minacce da parte di Salerno, Ferrante e Vincenzo Spasari affinché la responsabilità del progetto “Credito sociale” a Vincenzo Caserta, dirigente ritenuto vicino a Salerno e lo sottraesse a Cosimo Cuomo «funzionario sgradito a Salerno».
L’assunzione «indiscriminata» del cognato di Luigi Mancuso
Resta in piedi, perché aggravato dalla modalità mafiosa, un abuso d’ufficio che coinvolge Pasqualino Ruberto, Nazzareno Sarleno, Patrizia Nicolazzo, Maria Francesca Cosco, Vincenzo Spasari, Claudio Isola, Saverio Spasari e Damiano Zinnato. La vicenda riguarda l’assunzione «indiscriminata» di Damiano Zinnato, cognato del boss Luigi Mancuso, e Saverio Spasari, figlio di Vincenzo Spasari.
Inoltre Vincenzo Spasari e Claudio Isola sono accusati di estorsione aggravata perché avrebbero costretto il direttore generale del dipartimento Lavoro ad «accelerare le procedure per la stipula dei contratti di Damiano Zinnato e Saverio Spasari» attraverso frasi sibilline – «è una cosa che mi hanno cercato loro», «è il fratello della moglie» – evocando il carisma criminale dei soggetti interessati a essere assunti.
Nel collegio difensivo gli avvocati Mario Murone, Giovanni Marafioti, Vincenzo Gennaro, Francesco Iacopino, Francesco Gambardella, Nunzio Raimondi, Angelo Spasari, Pasquale Barbieri, Pasquale Naccarato,