Nelle dichiarazioni del pentito l'odio per Pantaleone Mancuso, gli incontri con i Commisso di Siderno, il ruolo dei D’Amico e il gioielliere con “una montagna di soldi”
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Doveva morire già nel 2002 Pantaleone Mancuso, detto Scarpuni, ma l’arresto per l’estorsione all’imprenditore Ceravolo gli ha salvato la vita. Il collaboratore di giustizia, Andrea Mantella, nel corso del controesame dell’avvocato Paride Scinica (difensore di Luigi Mancuso) ha spiegato che il suo proposito omicidiario nei confronti di Pantaleone Mancuso era risalente nel tempo – al 2002, appunto – e in tale progetto di morte erano coinvolti in tale fase pure il suo braccio-destro Francesco Scrugli ed i lametini dei Giampà, parenti dello stesso Mantella. «In seguito io ed il clan dei Piscopisani abbiamo maturato – ha dichiarato il collaboratore – il proposito di uccidere Michele Palumbo», ritenuto il braccio-destro di Pantaleone Mancuso nella zona di Vibo Marina e Longobardi, «pedinandolo anche a Pizzo». Michele Palumbo è stato poi ucciso la sera dell’11 marzo 2011. «Pantaleone Mancuso – ha dichiarato Mantella – doveva morire perché era una persona prepotente e maleducata ed ha tradito anche suo zio Luigi Mancuso, tanto che in carcere pure i Pesce erano arrabbiati con Scarpuni»
Il ruolo di Luigi Mancuso
Rispondendo sempre alle domande dell’avvocato Paride Scinica, Andrea Mantella ha spiegato al Tribunale collegiale di Vibo Valentia che l’affermazione definitiva dei Mancuso sulla città di Vibo si è avuta con gli omicidi di Francesco Fortuna, alias “Ciccio Pomodoro”, ucciso a Pizzo nel 1988 mentre si trovava al soggiorno obbligato, e di Antonio Arena, padre dell’attuale collaboratore di giustizia Bartolomeo Arena, il quale sarebbe caduto in una trappola ordita da Giuseppe Mancuso. “Il Crimine, ovvero il grado più alto nella ‘ndrangheta vibonese lo deteneva Antonio Mancuso – ha ricordato Mantella – e poi tale grado è passato al fratello Luigi di cui tutti i criminali del Vibonese ne subivano il fascino, tanto che non ho mai sentito nessuno parlare male di Luigi Mancuso che è stato sempre all’apice della ‘ndrangheta. Aveva questo dono Luigi Mancuso (nella foto a sinistra) e non credo nella ‘ndrangheta ci sia una dote superiore alla sua. Anche il capo del Crimine internazionale, ovvero Pelle-Gambazza di San Luca, riconosceva Luigi Mancuso come capo crimine del Vibonese. Era il più giovane capo crimine della Calabria – ha dichiarato Mantella – e di ciò nei ho parlato anche in carcere con i Giampà e con Nicolino Grande Aracri. Nel carcere di Catanzaro, inoltre, Luigi Mancuso era solito passeggiare nel cortile con Francesco Giampà di Lamezia, fratello di mio cognato Pasquale Giampà, quest’ultimo poi ucciso”.
La nascita del nuovo locale di ‘ndrangheta di Piscopio
Perché i Piscopisani si sarebbero quindi rivolti a Franco D’Onofrio, originario di Mileto, ma residente in Piemonte, e non a Luigi Mancuso o a qualcuno dei suoi fratelli per la nascita (intorno al 2009-2010) di un nuovo locale di ‘ndrangheta a Piscopio? A tali domande dell’avvocato Paride Scinica, Andrea Mantella ha così risposto: “Luigi Mancuso era all’epoca detenuto ed inoltre i Piscopisani con i fratelli di Luigi Mancuso e con Pantaleone Mancuso, detto Scarpuni, non andavano d’accordo. Era poi noto che le nuove leve dei Piscopisani erano contro le gerarchie dei Mancuso. E’ per questo che i Piscopisani si recano pure dai Commisso di Siderno per ottenere il riconoscimento all’apertura del loro nuovo locale di ‘ndrangheta. Del vecchio locale di Piscopio faceva parte Ciccio D’Angelo, detto Ciccio Ammaculata, parente dei fratelli D’Amico che però andavano d’accordo anche le nuove leve del nuovo locale di Piscopio così come con tutte le famiglie di ‘ndrangheta”.
L’incontro fra Mantella ed i Commisso
E’ a questo punto del controesame che Andrea Mantella spiega di aver avuto un confronto sia con Giuseppe Commisso, alias “U Mastru”, di Siderno, esponente apicale dell’intera ‘ndrangheta, e sia con il nipote di quest’ultimo, Cosimino Commisso. “Ho incontrato Peppe Commisso nel 2009 a Siderno e ci sono andato insieme a Francesco Fortuna di Sant’Onofrio. Commisso – ha ricordato il collaboratore – mi disse che nel Vibonese c’erano i Mancuso e quindi di valutare bene se era il caso di mettersi contro di loro. Io risposi: “Signor Commisso, voi pensate al paese vostro che al mio ci penso io”. Da quel momento si è formato uno schieramento di clan vibonesi contro i Mancuso che oltre al mio clan comprendeva pure i Piscopisani, i Bonavota ed il gruppo di Bruno Emanuele”.
Andrea Mantella ha poi fatto riferimento ad un giro di usura che avrebbe legato Salvatore Zinnato, parente di Luigi Mancuso, ai Patania di Stefanaconi, e quindi alla figura del “gioielliere Vittorio Tedeschi che ha una villa nella zona di Cocari ed aveva una montagna di liquidità messagli a disposizione di Luigi Mancuso”. Su tale figura, il collaboratore di giustizia ha dichiarato in aula che si trattava “di un grossista di diamanti che, grazie alla tutela di Luigi Mancuso, ha fatto una montagna di soldi e non lo si poteva toccare perché protetto da Luigi Mancuso. Anche Saverio Razionale mi raccontò queste cose”.