Monitorarono il mondo del Supremo, Luigi Mancuso, attraverso ogni tecnologia a loro disposizione: videoriprese, spyware telematici, intercettazioni telefoniche e ambientali, tracciati gps. Violarono il cordone sanitario imbastito dai suoi uomini di fiducia - da Pasquale Gallone ad Emanuele La Malfa, da Giuseppe Rizzo a Gaetano Molino, da Agostino Redi a Giovanni Giamborino - arrivando alla testa del rigenerato strapotere del clan Mancuso, che - con lo «Zio» tornato libero dopo una lunghissima detenzione - aveva rimesso ordine nella gerarchia mafiosa del Vibonese, riappacificando le famiglie in guerra e riaprendo il dialogo con quelle recalcitranti al potere del locale di Limbadi.  Il Ros di Catanzaro realizzò un’attività investigativa devastante, condensata in quelle informative che costituiscono uno degli architravi dell’accusa al maxiprocesso Rinascita Scott, dove continua la deposizione del tenente colonnello Giovanni Migliavacca.

L’esame condotto dal pm Andrea Mancuso riparte dalla pervasività del clan Mancuso e dalla sua capacità di condizionamento del settore edilizio e delle opere pubbliche, anche aggirando gli ostacoli frapposti dalla legge e dalle istituzioni, come nel caso in cui le aziende piegate alle logiche mafiose vengano colpite da interdittiva antimafia. Un esame lungo, articolato e dettagliato, quello del colonnello Migliavacca che – tra l’altro – ha avuto modo di approfondire il profilo di una delle figure emergenti in seno al poderoso clan di Limbadi e Nicotera, ovvero Giuseppe Mancuso, classe 1990, figlio di Giovanni Mancuso, considerato una sorta di ministro delle finanze della famiglia. Giovanni è uno degli esponenti della cosiddetta “dinastia degli undici”, ovvero gli undici fratelli che hanno forgiato il blasone criminale della famiglia Mancuso, e quindi è uno dei fratelli maggiori di Luigi Mancuso, il Supremo, imputato chiave di Rinascita Scott.

Giuseppe Mancuso (classe ’90), che peraltro emerge nella più stretta sfera relazionale dello zio Luigi, viene accusato – oltre che di associazione mafiosa – anche alcune ipotesi di estorsione, come quella in danno di Benito Tavella, oggetto, appunto, della ricostruzione operata dall’ufficiale dell’Arma. Tavella, gravato da precedenti e – secondo gli inquirenti – appartenente al cartello Prostamo-Pititto-Tavella egemone nel territorio di Mileto, avrebbe avuto un debito, contratto unitamente ad una terza persona, del quale Giuseppe Mancuso spingeva per il saldo. Gli eventi monitorati dal Ros di Catanzaro si consumano nel 2014, quando Mancuso sprona e incalza Tavella, con toni che diventano progressivamente più minacciosi alla luce del comportamento elusivo dell’uomo di Mileto. Gli inquirenti registrano la presenza di un altro uomo al fianco di Giuseppe, tale «Antonio»: «Un nome di fantasia - spiega il colonnello Migliavacca -. Noi dal timbro vocale riconosciamo Mancuso Emanuele», ovvero l’attuale collaboratore di giustizia, figlio di Pantaleone alias l’Ingegnere. Si trattava di un debito, del quale non è chiara la liceità, che sarebbe lievitato da 1.000 a 1.200 euro. «Un debito saldato – chiosa l’ufficiale dell’Arma – attraverso la dazione del denaro richiesto».

Molto interessante, sul piano investigativo, proprio il rapporto tra i cugini Giuseppe ed Emanuele Mancuso (quest’ultimo, una volta divenuto collaboratore di giustizia, riferirà dell’ascesa dello stesso Giuseppe, che avrebbe preso in mano, in veste di erede criminale, gli affari del padre Giovanni). Il loro legame affiora già agli albori dell’indagine Rinascita Scott, quando - alle 3 del mattino del 22 giugno del 2014 - si consumò una rissa all’esterno della discoteca Puntacana di Tropea, all’esito della quale rimasero feriti quattro giovani. Fondamentalmente, dunque, Peppe Mancuso il giovane è un ragazzo, che frequentava giovani e discoteche, che godeva di trattamenti di favore nei negozi di abbigliamento, ma che non disdegnava di far sentire il peso del suo cognome e della sua appartenenza, anche nella risoluzione dei contrasti tra soggetti terzi, come altre acquisizioni investigative illustrate dal colonnello Migliavacca, avrebbero dimostrato, almeno secondo il costrutto accusatorio.