A Rinascita Scott è stata la volta del collaboratore di giustizia Domenico Guastalegname, non imputato nel processo, dove si trova a giudizio suo padre Antonio. A sentirlo il pubblico ministero Annamaria Frustaci. Prima una lunga premessa sulle sue vicende giudiziarie, come quella dell'omicidio di Manuel Bacco, commesso ad Asti nel 2014. Delitto per il quale ha subito una condanna a 30 anni di carcere. «Sono innocente così come lo è il mio amico Jacopo Chiesi».

Nel processo per l'assassinio di Bacco era imputato anche Antonio Piccolo. «Appartiene alla famiglia Mancuso ed è vicino a Nazzareno Colace». I due Guastalegname si pentono perché trovano ingiusto che siano stati condannati soggetti, tra cui Domenico, che non c'entrano nulla con l'omicidio commesso in Piemonte.

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Domenico Guastalegname

«La procura di Asti - ha detto il pentito - non ha mai sentito mio padre che mi aveva già manifestato la volontà di collaboratore di giustizia sin da quando era nel carcere di Vercelli. Cosa che mi fu ribadita nella casa circondariale di Biella. Qui eravamo insieme, poi fui trasferito a Ferrara dopo l'inizio della sua collaborazione». Domenico Guastalegname ha riferito anche sulle minacce che sarebbero giunte alla sua famiglia dopo il suo pentimento. «Tirarono in mezzo anche mio figlio, è una cosa inaccettabile. Mia madre è finita in ospedale al Pronto soccorso a causa di una crisi d'ansia». E ha aggiunto: «Questa non è 'ndrangheta».

 Il pm Frustaci ha chiesto se prima di collaborare con la giustizia avesse avuto modo di parlare con suo padre: «Prima di intraprendere questo percorso avevo preso qualche giorno di tempo, feci una videochiamata con mio padre, la mia intenzione era quella di chiarire la mia posizione rispetto ai reati che ho effettivamente commesso».

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Per parlare con il dottor De Bennardo, Guastalegname aveva presentato una richiesta: «La presentai tra luglio-agosto del 2022. Ero orientato a collaborare, volevo chiarire tutte le mie posizioni, avevo necessità però di parlare con mia moglie affinché la mia famiglia fosse sottoposta a misure speciali di protezione».

Il primo interrogatorio è stato svolto il 15 settembre 2022, mentre l'avvio della collaborazione con la giustizia risale al 28 settembre 2022. «La videochiamata fu fatta intorno al 5 settembre. Con mio padre parlammo delle sue e delle mie condizioni di salute, e gli preannunciai di aver avuto un colloquio con De Bennardo». Il padre del pentito nella videochiamata avrebbe detto: «Devi dire la verità, ma non parlare dei "cazzi miei"». Una delle vicende al centro della discussione era sicuramente quella inerente la detenzione illegale di armi. Altri riferimenti sarebbero stati fatti alla madre e moglie dei Guastalegname. «Mia madre è indagata per i procedimenti relativi alle detenzione in carcere dei telefonini e dicemmo "non è che l'arrestano"... "e se l'arrestano si riposa un po'..."».

 Le dichiarazioni di Domenico Guastalegname

Nazzareno Colace

«Conosco Emanuele Mancuso dal 2010, ci siamo visti in un locale a Tropea e dopo un anno a Tortona. All'epoca ci siamo sentiti per un po', lui voleva comprare un'auto in contanti, dissi che gli avrei fatto sapere ma mio cognato, titolare di una concessionaria molto importante, non ne volle sapere. Sapevo che Emanuele Mancuso saliva e scendeva da Tortona» ha dichiarato nell'aula bunker di Lamezia Terme.

Domenico Guastalegname ha spiegato di aver conosciuto altre persone legate alla 'ndrangheta vibonese, come Nazzareno Colace: «Venne nell'Astigiano tra il 2012 e il 2015, saliva e scendeva» ha chiarito il pentito. «Veniva in Piemonte perché era stretto amico di mio padre. Volevano andare a parlare con soggetti della tifoseria della Juventus per far entrare nello stadio lo spaccio di droga. Ebbero un confronto con i "Drughi", mi riferisco sempre a Nazzareno Colace, siamo nel 2014. In quel periodo trattarono anche un carico d'armi». Armi che sarebbero state nella disponibilità di Colace e del padre, oggi collaboratore.

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Nel discorso poi spunta il nome di Ivan Colace: «Mio padre scese in Calabria perché chiamato da lui in quanto al Nord stava

Antonio Guastalegname

 per arrivare un carico di stupefacenti bloccato successivamente dalle forze dell'ordine». Carico che sarebbe stato organizzato da "Valerio Navarra" e che doveva arrivare a Torino «per essere consegnato alla tifoseria della Juventus, parlo sempre dei "Drughi"».

Il pentito in questa circostanza ha fatto il nome anche di Peppone Accorinti, uno dei boss della 'ndrangheta vibonese. «Lui aveva interesse nel settore della tifoseria della Juventus, voleva che la marijuana circolasse in quel gruppo». Ad Asti «Valerio Navarra e mio padre rappresentavano Accorinti nel traffico di sostanze stupefacenti».

«Navarra l'ho conosciuto quando hanno bloccato il carico nei pressi di Lagonegro e Sala Consilina, erano 10 chili di marjiuana del tipo amnesia. Poteva essere venduta a 3-4mila euro al chilo» ha detto Domenico Guastalegname.

«Navarra era salito su con Antonio Vacatello. Quest'ultimo lo conoscevo per essere residente a Vibo Maria, ma non avevo confidenza con lui, mentre per un altro carico fu coinvolto Rocco Cichello che trasportava la droga con il pullman, parliamo di circa 20-30 chili di sostanze stupefacenti. Era sempre coinvolto mio padre con Navarra per conto di Peppone Accorinti».

«Questa droga era destinata ai "Drughi"", ma i nomi di questi soggetti "non possono essere fatti perché c'è un'attività investigativa in corso» ha ammesso il pm Frustaci in udienza.

«Avevo offerto la droga a un amico a duemila euro al chilo, proveniva da Navarra, mentre con altri aveva fissato un prezzo più alto, ma non sapevo che la stessa persona a cui avevo proposto l'acquisto era la stessa che poi l'avrebbe data al soggetto che trattava con Navarra. Ne scaturì poi una situazione molto complicata, i Pesce di Rosarno fecero da "paciere" tra mio padre, giunto con Nino Purita, e un membro della tifoseria dei "Drughi"» ha dichiarato Domenico Guastalegname. «Purita prese la pistola, perché questi dei "Drughi" erano attaccabrighe, l'incontro si tenne vicino al Mc Donald's di Asti». Della situazione sarebbe stato informato anche «Peppone Accorinti che a sua volta avrebbe parlato con i Bellocco di Rosarno». Queste vicende risalgono al periodo 2016-2017.

I rapporti con gli albanesi

Subito dopo nel narcotraffico subentrano gli albanesi. «Un giro di circa 50 chili di droga, era marijuana e una mattina Valerio Navarra si presentò a casa mia ad Asti, dicendo a mio padre che questa "erba" era stata chiesta da me. Ma non era vero, Navarra era alle strette perché non sapeva come risolvere questa situazione. Si presentò in Piemonte con i calabresi, tipo "l'avvocaticchio", che ho riconosciuto nell'album fotografico e Pietro Grillo, e gli albanesi» di cui fa i nomi.

«Il carico fu trasportato da Florin» ha dichiarato il pentito. «Navarra disse agli albanesi che mio padre era suo zio, papà in quell'occasione disse che aveva le mani legate e non poteva aiutarlo in quel momento, servivano infatti più di 50mila euro oltre che un posto dove custodirla. Di solito il deposito era in un palazzo dove abitava la sorella di mia suocera, c'erano appartamenti disabitati di cui nessuno era a conoscenza. Non c'era neanche l'elettricità, si trovavano comunque in piazza Castello ad Asti».

La deposizione del perito

La deposizione del pentito è stata sospesa dall'audizione del perito Ammendolia incaricato dal tribunale ha riferito sul lavoro svolto spiegando di aver avuto difficoltà a trascrivere alcune intercettazioni ambientali che riguardavano un imputato.

Guastalegname e il viaggio a Pavia

Dopo l'interruzione di oltre quasi un'ora stabilita dal presidente del collegio, ha ripreso a rispondere alle domande del pubblico ministero su circostanze contestate nel processo Rinascita Scott. «Portammo la droga degli albanesi vicino Pavia, con una Mercedes», ha detto il collaboratore, rappresentato dall'avvocato Annalisa Pisano. «La qualità della droga non era buona, era difficile piazzarla perché erano pieni di mesi. Mio padre prese un po' di tempo per vedere come fare e Navarra in un ristorante si lamentava della cosa».

Ma «l'albanese davanti a questa rimostranza si arrabbiò, alzandosi dal tavolo per andare via» ha proseguito Domenico Guastalegname. «Nell'Astigiano le persone contattate non erano interessate all'acquisto della droga, quindi subentrarono personaggi calabresi come Saverio Razionale e Peppone Accorinti. Alla fine dei conti la situazione si è sistemata portando il carico da un'altra parte del Piemonte, ad Alba. A Purita per il trasporto fu dato un chilo d’erba». Era «il periodo in cui Saverio Razionale aveva vinto la causa in Cassazione per il sequestro dei beni, parliamo del 2017».

I rapporti con Purita

«Lo conoscevo da sempre Nino Purita, gli ho battezzato il bambino, ma i rapporti si sono rafforzati quando nel 2014 Nazzareno Colace lo mandò in Piemonte per acquistare una sala scommessa, Purita era il fidanzato della figlia di Colace, poi si sono lasciati. Per un anno e mezzo è stato a casa mia ad Asti. Nino comunque aveva lo stesso mio ruolo nello spaccio di droga, doveva piazzarla con altre persone».

I legami con Antonio Piccolo

«Piccolo era legato a "zio Luigi" Mancuso e Colace. Nel fatto dell'omicidio ha rivestito il ruolo di esecutore materiale ai danni del tabaccaio, il motivo non lo so. Quella volta agì con mio padre e Fabio Fernicola, fu una sua iniziativa». 

Tornando a Mancuso il pentito ha aggiunto: «Piccolo salì in Piemonte dopo aver avuto un problema con i rosarnesi, compì infatti una sparatoria ferendo cinque persone. Fatto che sarebbe stato poi sistemato da zio Luigi Mancuso e Colace. Queste cose me le disse Nazzareno dipingendo Piccolo come un uomo rispettoso ma pazzo come un cavallo». Poi una domanda su Antonio Prenesti: «Ne parlava mio padre, ho sentito questo nome da lui».

L'arsenale di armi

«L'arsenale di armi veniva custodito anche da Luigi Sandiano che era il compagno di mia suocera - ha sottolineato Domenico Guastalegname - io non c’entravo nulla, sapevo di questa cosa quando arrivò ad Asti. Il mio ruolo fu successivo a questi avvenimenti in quanto c'era necessità di buttare queste armi e le sotterrammo in un terreno». 

Nel prosieguo della testimonianza, Guastalegname ha detto che Mancuso e Colace erano interessati a un'azienda di trasporti del Nord Italia, nei dintorni di Milano, che aveva vinto una gara d'appalto. «Circostanza che appresi da Sandiano e suo padre Antonio».

L'appalto del cementificio

Del cementificio «ne parlai con Ivan Colace quando venne in Piemonte. Aveva aperto un'azienda di raccolta del ferro, guadagnava bene e riferendosi al cementificio disse che questo appalto avrebbe portato tanti soldi. Nella gara d'appalto sarebbero dovuti entrare zio Luigi Mancuso e Colace, quest'ultimo avrebbe interessato un'altra società per non comparire direttamente». Nel suo manoscritto Domenico Guastalegname appuntò anche altri nomi che fanno parte della "famiglia Mancuso". «Luni Scarpuni e Nino Purita non avevano rapporti» ha riferito il pentito.

Il riconoscimento fotografico

Il pm Frustaci nel corso dell'udienza ha mostrato in videoconferenza al pentito Guastalegname un album fotografico. «Riconosco - ha detto il collaboratore - Peppone Accorinti, che ho conosciuto personalmente a Vibo Marina in compagnia di mio padre; Antonio Vocatello, lui è di Vibo Marina ma non abbiamo mai avuto confidenza, ad Asti lo vidi a Risparmio casa; il numero 4 non lo conosco; l'altro è Valerio Navarra, la foto numero 8 non so chi sia; la numero 9 è Luigi Mancuso, ma non l'ho mai visto di persona, le sue foto le ho guardate sui giornali, sapevamo che se fosse andato male il processo ad Asti, zio Luigi avrebbe fatto intervenire l'avvocato Pittelli; il numero 10 è Nazzareno Colace, di cui ho riferito prima; la foto numero 11 è Giuseppe Antonio Piccolo, di cui ho parlato nell'omicidio Bacco; la foto numero 12 è Antonio Natale, fermato con il carico di droga tra Lagonegro e Sala Consilina; la foto numero 13 è Davide Surace; la foto numero 14? Non so chi sia; la foto numero 15 è Pietro Grillo coinvolto nell'affare con gli albanese; non riconosco la foto numero 18, la successiva è Fabio Fernicola condannato per l'omicidio ad Asti; la foto numero 20 è Jacopo Chiesi; la foto numero 21 è Ivan Colace, la foto numero 22 è l'avvocaticchio; la foto numero 23 è Rocco Cichello; la foto 24 e 25 non so chi siano; la foto numero 26 è l'albanese che venne a casa mia per il carico di 50 chili di "erba"; la foto numero 27 è l'altro albanese; la foto numero 28 è Florin, quello che guidò l'auto dei 50 chili di marijuana fino a Pavia; la foto numero 29 non so chi sia; la foto numero 30 neanche; la foto numero 31 invece è Emanuele Mancuso; la foto numero 32? Non conosco il soggetto in questione; la foto numero 35 è Antonio Yoyo; la foto numero 36 è Giuseppe Salvatore Mancuso, fratello di Emanuele; la foto numero 37 è Federico Surace; la foto numero 38 è Luigi Sandiano, faceva l'autista a mio padre; la foto numero 39 è Nino Purita». 

Infine, il pm Frustaci ha sottoposto una foto fuori album, ma Guastalegname non ha riconosciuto il soggetto. Il collegio non ha ammesso domande sull'avvocato Pittelli in quanto non era menzionato nelle richieste ex art. 507. 

I messaggi con detenuti

«Prima della mia collaborazione ho scritto un messaggio dal carcere di Vercelli, insieme a mio padre, sia a Valerio Navarra che Antonio Vocatello, gli chiesi come stavamo augurandoci di uscire a “testa alta” da questa situazione dell'omicidio. Mi rispose solo Navarra, ci mandava i saluti e la foto del suo bambino» ha concluso così l'esame Guastalegname.