Sessantotto immagini fotografiche. Un album oggetto dell’interrogatorio del 30 ottobre del 2019, in avvio della collaborazione con la giustizia di Bartolomeo Arena. Alcune sono omissate, quindi riferite a persone oggetto di approfondimento investigativo. La prima foto mostrata dal pm Andrea Mancuso, la numero tre, è quella di Marco Pardea, figlio di Raffaele e fratello di Francesco Antonio.

Marco Pardea

Il pentito lo riconosce subito: «Ha fatto parte della nostra consorteria, sia del buon ordine con i Lo Bianco-Barba, sia quando abbiamo fatto il nostro gruppo - dice Arena, che così prosegue il suo esame al maxiprocesso Rinascita Scott -. Era un azionista, in particolare incendiava auto e spacciava cocaina assieme a Michele Camillò, il fratello lo delegava a mandare imbasciate, sia nel Crotonese che nel Reggino. Del Crotonese al gruppo Manfreda e del Reggino ai Morabito “Tiradritto” di Africo e ai Pizzata di San Luca». Circa gli attentati incendiari, Arena indica nomi, luoghi e retroscena, di uno in particolare lo stesso attuale collaboratore di giustizia ne sarebbe stato il mandante. Con riguardo ai messaggi recapitati dal carcere e fuori dal carcere, Arena sostiene di aver appreso tutte le notizie dallo stesso Marco Pardea e dal cugino Domenico detto “il Lungo”. E ancora: «È stato affiliato con il grado di camorrista, poi si è distaccato perché si è messo a lavorare sulle navi da crociera. Uscito il fratello dal carcere, mi ha chiesto di “chiamarsi il posto” da noi. Lui voleva lo sgarro e lo disse a me perché non poteva chiederlo al fratello. E così, poi, a casa di suo padre, gli abbiamo dato lo sgarro». Sarebbero stati presenti più o meno tutti i componenti del gruppo criminale.

Marco Ferraro

La seconda foto mostrata dal pm Mancuso è la numero cinque. È quella di Marco Ferraro: «Si tratta di un ragazzo vicino a noi almeno dal 2012 in poi, anche se è stato rimpiazzato solo più avanti - racconta Bartolomeo Arena -. Si è avvicinato a noi a livello criminale dopo che è uscito Domenico Macrì, a cui ha fatto da autista. Assieme sono mandanti ed esecutore della sparatoria in cui è stato ferito il guardiano del cimitero di Vibo, Alessandro Sicari. Era attivo nell’ala militare, di azioni ne ha fatte. Anzi, noi restammo stupefatti dell’agguato al cimitero. Lasciò aperta la fontana affinché il custode andasse a chiuderla e poi, quando lo ebbe a tiro, sparò con una 6.35 col silenziatore. Rimanemmo sopresi della sua furbizia. Lui, ad esempio, sparò anche all’imprenditore Mazzotta, che ha un negozio di rubinetteria. Quando venne rimpiazzato, gli abbiamo dato picciotto e camorra nello stesso giorno. Pardea voleva dargli pure qualcosa in più, ma era troppo giovane. È stato lui a spostare le nostre armi nel casolare di Filippo Di Miceli, dove sono state murate e dove le ho fatte ritrovare. Una volta, Peppe Prossomariti di Santa Domenica di Ricadi, andò a prendere una pistola che ci regalò. Era l’avvio di una collaborazione criminale, per commettere dei reati, l’incendio di una casa e di alcuni pullman. Fu proprio con quella pistola che Ferraro sparò al custode del cimitero».

Arena accusa Ferraro di essere stato l’autore anche di un danneggiamento a scopo estorsivo ordinato da Francesco Antonio Pardea, dell’incendio dell’auto di Raffaella Mantella, sorella dell’ex boss e attuale pentito Andrea Mantella, e dell’incendio del chiosco di Liberata Lo Bianco, madre dello stesso Mantella, quest’ultimo in concorso con Filippo Di Miceli. Sempre Ferraro sarebbe stato l’autore, secondo Arena, del tentativo di omicidio di Carmelo Lo Bianco detto ’u Niru, della gambizzazione dell’imprenditore Raffaele Mazzotta e di una intimidazione al perito assicurativo Vincenzo Marchese.