«Era il capo della locale di ‘ndrangheta di Zungri, non so quale dote avesse, certamente elevata, visto che in carcere lui conferì la Santa a Francesco Lobello e ha dato lo Sgarro a Rocco Grasso di Rosarno… È un mafioso fidelizzato così come lo ero io». Tocca all’avvocato Daniela Garisto, difensore di uno dei principali imputati, ovvero Giuseppe Antonio Accorinti, alias Peppone, controesaminare il superpentito Andrea Mantella al maxiprocesso Rinascita Scott. «Come fa a dire che a Zungri esisteva un locale di ‘ndrangheta e non, invece, eventualmente, un gruppo di criminali comuni?», così la penalista. Mantella racconta quindi la storia della criminalità organizzata sul Poro: «Un tempo era Raffaele Fiamingo il capo, poi, quando fu ucciso, subentrò Peppone Accorinti, al centouno per cento. Non so che dote avesse Fiamingo, né ho mai chiesto, perché chiedere, nella ‘ndrangheta, è sbagliato ed è roba da pischelli».

Il collaboratore rammenta come, in particolare nel corso della sua ascesa criminale, apprese che «storicamente su Mesiano e Poro comandava Fiamingo, mentre Accorinti, affiliato ai Mancuso, comandava su Zungri». Quando il 9 luglio del 2003, a Spilinga, fu assassinato Fiamingo, nel corso dell’agguato in cui rimase gravemente ferito Ciccio Mancuso detto “Tabacco”, tutto fu accentrato su Accorinti. «Su Zungri un tempo c’era una mafia rurale, c’erano i Niglia, che sono persone diverse da quelle di Briatico. Poi mi hanno raccontato che li uccise tutti, erano tre o quattro fratelli, con l’aiuto di Fiamingo».

Il difensore: «Chi diede l’investitura ad Accorinti? Sa se è stata riconosciuta a Polsi?». Mantella: «L’investitura uno se la prende con la sua forza militare, so che a Zungri nacque una locale di ’ndrangheta che nacque come distaccata dai Mancuso». A questo punto, acceso confronto con il pm Anna Maria Frustaci, intervenuta più volte nel corso del controesame, che rintuzza «i tentativi del difensore – incalza la componente del pool di Nicola Gratteri – di individuare contraddizioni di fondo che non esistono».

Dell’omicidio di Roberto Soriano, fatto sparire dopo essere stato ucciso il 6 agosto del 1996 assieme ad Antonino Lo Giudice, oggetto di contestazione nel procedimento penale aperto davanti alla Corte d’Assise di Catanzaro, Mantella ribadisce di aver appreso dallo stesso Accorinti: «In carcere tra noi si era creata empatia. Mi chiedeva di scrivere delle lettere alla sua compagna. Ero diventato il suo braccio destro. Allora mi ha riferito che lo hanno torturato e poi lo hanno sparato… Non so perché lo ha fatto. Altri particolari su quello che avvenne a Soriano li ho invece appresi al carcere di Paola da Saverio Razionale».

Il dichiarante conferma di aver appreso che «Accorinti, a fine anni ’90, fu latitante a San Gregorio d’Ippona del boss Rosario Fiarè, tra i pochi di cui si fidava. Non ho però mai visto Accorinti e Razionale insieme. Né ci sono state liti tra me e Accorinti. Solo una volta, al carcere di Siano, Scrugli litigò con un certo Mimmo, e visto che Accorinti era il capo della sezione, si arrabbiò. Scrugli era una figura minore e dovette adeguarsi. Ci fu un richiamo e basta, nulla di più. Io ero presente. Non esiste che Scrugli volesse vendicarsi, si era risolto tutto. Io ad Accorinti volevo bene e lo stimavo tantissimo, giuro sulla mia vita di non aver mai litigato con lui».

Passando alla posizione di Domenico Cichello, altro assistito dall’avvocato Garisto, Mantella spiega: «Era un factotum di Accorinti, era una testa di legno, gli guidava la macchina. Cichello era un semplice rivenditore di auto usate, ma l’attività era di fatto di Accorinti che là dentro ci ha messo dei soldi. Non conosco la somma, né so in che termini ciò ha portato allo sviluppo di questa attività».