«Costoro non hanno ancora capito che i briganti e la mafia sono due cose diverse. Noi abbiamo colpito i primi che, indubbiamente, rappresentano l'aspetto più vistoso della malvivenza siciliana, ma non il più pericoloso. Il vero colpo mortale alla mafia lo daremo quando ci sarà consentito di rastrellare non soltanto tra i fichi d'india, ma negli ambulacri delle prefetture, delle questure, dei grandi palazzi padronali e, perché no, di qualche ministero…».

Cita il prefetto Cesare Mori, il pubblico ministero Antonio De Bernardo, quando nella sua requisitoria al maxiprocesso Rinascita Scott introduce il legame tra ‘ndrangheta, massoneria e mafia e, in particolare, i rapporti tra Luigi Mancuso e Giancarlo Pittelli, ex parlamentare della Repubblica e importante penalista calabrese, imputato di concorso esterno in associazione mafiosa, accusato di essere una sorta di Giano bifronte, una «cinghia» tra il presunto superboss ed i palazzi del potere.

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De Bernardo richiama il narrato del collaboratore di giustizia Cosimo Virgiglio, l’ex commercialista e massone legato ai Molé di Gioia Tauro, che nel dibattimento ha spiegato come sin dall’inizio degli anni ’90 nei templi della fratellanza ci si pose il problema su «come gestire i magistrati». Un compito demandato soprattutto agli avvocati aderenti alle logge e di ciò proprio Pittelli sarebbe stato espressione.

Il pm tratteggia la figura di Sabatino Marrazzo, ovvero «maglietto pulito della loggia coperta Pitagora» e «orecchio ascoltante del maglietto meno pulito» ma anche presunto esponente di picco dell’omonimo clan dotato della Santa, che avrebbe favorito prima l’ingresso in massoneria e poi l’ascesa politica di Giancarlo Pittelli, appoggiandone l’elezione in Parlamento sin dal 2006, così come avrebbe fatto verso altri professionisti prestati ai partiti e impegnati nelle competizioni elettorali a vari livelli. Lo stesso Virgiglio, in sede di controesame – evidenzia il pm – rispondendo all’avvocato Salvatore Staiano, difensore di Pittelli, racconta di essersi personalmente interessato all’elezione di Pittelli, recandosi in macchina per parlare con Sabatino Marrazzo ma anche con esponenti del clan Trapasso.

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Il «rapporto  di fratellanza» Marrazzo-Pittelli, nel dibattimento, è stato anche tratteggiato da Francesco Oliverio, ex figura apicale del locale di Belvedere Spinello, cugino del venerabile crotonese. Anche il narrato di Oliverio viene scansionato nella requisitoria dal pm De Bernardo, che rammenta come – secondo lo stesso collaboratore – per conto della ‘ndrangheta Pittelli avrebbe «fatto da tramite per aggiustare» un processo per omicidio. «Noi abbiamo una convergenza chiarissima su questa prima parte del racconto», spiega il pm De Bernardo. Da qui, la stura a vagliare anche gli altri collaboratori di giustizia che hanno riferito in ordine alla figura di Pittelli e alla sua asserita capacità di condizionare i magistrati per «aggiustare le sentenze».

«Qui nessuno vuole demonizzare la nobile funzione difensiva – dice il pubblico ministero – qui parliamo di altro». E poi, proprio in relazione ai pentiti, De Bernardo richiama anche i dietrofront eccellenti, ovvero le ritrattazioni o la interruzioni delle collaborazioni con la giustizia da parte di ‘ndranghetisti che avevano accennato al rapporto tra crimine organizzato e logge. Il magistrato legge in aula anche lo stralcio di un verbale inedito, risalente al 19 dicembre del 2019, reso dall’ormai defunto pentito Gerardo D’Urzo alla Dda di Catanzaro, che aveva parlato anche di Pittelli salvo poi fare clamorosamente dietrofront. Così come l’ex giudice Marco Petrini («il cui esame è stato uno dei momenti più tristi del processo, perché aveva la possibilità di fare luce, ma noi luce ne abbiamo fatta anche senza di lui»). Richiama quindi le parole di Michele Iannello e Guglielmo Farris sui rapporti tra l’ex parlamentare e avvocato con i Mancuso. In particolare Farris mise nero su bianco che «quando parlò di Pittelli gli fu detto esplicitamente che il suo rapporto con la Procura sarebbe finito lì».

Poi, Mantella… «Mantella dice delle cose importantissime», spiega il pm, che rammenta i riferimenti alla «certa fratellanza tra Luigi Mancuso e lo stesso Pittelli, definito “un massone deviato di una loggia clandestina paramafiosa”». E poi tutti i riferimenti chiave del collaboratore di giustizia all’ex deputato e senatore di Forza Italia. La chiosa di De Bernardo: «Possiamo uscire da questo processo senza dice che esisteva questo sistema? Non possiamo».