L’ultimo episodio è passato quasi in sordina. Eppure, per chi s’interessa di fatti di mafia, dovrebbe dire tanto, tantissimo. Nella notte fra mercoledì e giovedì scorsi, qualcuno ha dato alle fiamme un furgone in uso all’imprenditore edile Carmelo Natale Cartisano, di 34 anni, nipote acquisito del defunto boss di Gallico, Domenico Chirico. Questo atto criminale potrebbe apparire come uno dei tanti che accadono nella città dello Stretto, così da non fare quasi notizia. Tuttavia, tanto per il contesto in cui è avvenuto, tanto per il momento storico, suggerisce che dietro ci sia qualcosa di più di una semplice intimidazione. Gallico e le sue zone limitrofe sono in questo momento una vera e propria polveriera ed a confermarlo ci pensa una fonte investigativa, che all’Ansa parla di «episodio grave», di un «ulteriore tassello della lotta in corso nel rione Gallico per il predominio nelle attività criminali». Voce autorevole, quella raccolta dalla più importante agenzia di stampa italiana. Autorevole e veritiera, ma che probabilmente non può spingersi oltre per esigenze investigative. Proviamo allora a ricostruire quel che sta accadendo in una delle zone più importanti della periferia nord di Reggio Calabria.

Dagli spari al Lidl all’intimidazione a Tramontana

Occorre fare un piccolo salto indietro nel tempo. Solo di pochi giorni. Andare, cioè, alla notte fra lunedì 20 e martedì 21 novembre. In quelle ore in cui la città si addormenta, in attesa del nuovo giorno, ignoti entrano in azione prima nel supermercato Lidl di Gallico, sparando diversi colpi di arma da fuoco all’indirizzo delle vetrine del centro commerciale, poi si dirigono verso l’azienda vinicola Tramontana. Si tratta di una delle eccellenze reggine e calabresi. A guidarla c’è un imprenditore che di recente ha iniziato il suo percorso come presidente della Camera di commercio di Reggio Calabria. Ninni Tramontana, che proprio il giorno prima coordina una serie di attività nel corso della “Giornata della legalità”, oltre che stupito si dimostra preoccupato: «Da tempo a Gallico si respira un’aria tesa». Le considerazioni del presidente della Camera di commercio valgono molto più di mille analisi. Lui conosce bene il territorio, ma soprattutto è persona avulsa da contesti criminali di qualsivoglia tipologia. È un cittadino-imprenditore che avverte sulla sua pelle quanta tensione si respiri in quel quartiere.

Meta, l’omicidio del boss e la risposta di fuoco

Per la verità, Gallico vive momenti di grande preoccupazione sin dal 2010. Precisamente il 20 settembre. Da pochi mesi, il pm Giuseppe Lombardo, allora sostituto procuratore, ha portato a termine un’operazione che segnerà una svolta importante nella lotta alla ‘ndrangheta: l’inchiesta “Meta”. Capi e gregari delle cosche dominanti nella periferia nord di Reggio Calabria vengono messi in cella. Tutti in un colpo solo. Del resto, le indagini partono da quello che è il capo assoluto della ‘ndrangheta reggina, quel Pasquale Condello “il supremo”, arrestato nel febbraio del 2008. Inevitabilmente si crea un vuoto di potere. E così, coloro che stanno nelle retrovie si ritrovano a prendere le redini del comando. Uno di questi è certamente Domenico Chirico, che ha avuto da sempre un ruolo di prim’ordine a Gallico. È indicato come il boss che controlla la zona, lui che si rifà al vecchio cartello “condelliano”. Ed è pure l’obiettivo dei killer, quel 20 settembre del 2010. Lo uccidono mentre si appresta a consegnare del materiale in un cantiere edile. Lo freddano a Gallico, nel suo feudo. Un messaggio chiaro, preciso. Inequivocabile. “Il tuo tempo è finito”, vogliono intimare gli esecutori. Passa poco meno di un anno ed il 12 agosto del 2011, nella frazione di Gallico superiore, due sicari inseguono ed ammazzano Giuseppe Canale. Sin dai primi momenti successivi al fatto, gli investigatori sono convinti che quella sia la risposta all’omicidio Chirico, sebbene Canale faccia parte comunque del gruppo criminale riconducibile ai “Chirico-Condello”. C’è l’alta percentuale di possibilità che proprio Canale sia individuato dai suoi assassini come colui al quale addebitare la responsabilità dell’omicidio del boss Chirico. Ma le indagini, per lungo tempo, non riescono a venirne a capo.

Cosche indebolite e allo stremo

Dopo neppure due mesi, la Dda di Reggio Calabria, le cui indagini sono sempre guidate dal pm Lombardo, porta a casa un altro importante risultato con l’operazione “Reggio Nord”. È sempre il territorio fra Gallico e Catona ad essere preso di mira. Anche in questo caso, finiscono in cella personaggi di primo piano ed emergono pure le commistioni con il mondo dell’imprenditoria che conta.

Il 5 marzo del 2012, i carabinieri stringono il cerchio attorno all’ultimo latitante di primo piano della città di Reggio, Domenico Condello “u pacciu”, cugino del “Supremo”. Sono 17 le persone arrestate. L’undici ottobre dello stesso anno, Condello viene catturato dal personale del Ros a Catona (quartiere limitrofo a Gallico), all’interno del suo territorio di competenza, lui che da Archi, con la sua cosca, estende affari e tentacoli in buona parte della città, oltre che sul territorio di Villa San Giovanni e Campo Calabro.

Sempre in quegli anni, fra il 2010 ed il 2011, a Reggio Calabria si registrano altri due fatti di sangue di un certo peso: il duplice omicidio di Massimiliano D’Ascola e Giorgio Clemeno nel cuore di Archi e quello successivo di Carmelo Morena, all’interno di un bar del centro. Forse fatti slegati dal resto, ma comunque inseriti in un clima di forte fibrillazione delle cosche della periferia nord.

Due omicidi, due contesti

Passano pochi anni di relativa tranquillità (solo apparente) e il 29 dicembre del 2016, un giovane di nazionalità marocchina, Tarik Kacha, 34 anni, viene freddato nel corso di un agguato in perfetto stile mafioso davanti al portone di casa a Catona. Un omicidio ancora irrisolto, così come quello che avviene il 26 maggio scorso, sempre a Catona, che vede cadere sotto i colpi dei killer il tabaccaio Bruno Ielo, inseguito e fatto fuori all’uscita dal lavoro, mentre si trova a bordo del suo motorino. Trattasi di due fatti di sangue certamente diversi per i contesti riguardanti le vite delle due vittime, ma che potrebbero anche rispecchiare una matrice simile, ossia la volontà, da parte delle nuove leve del crimine, di marcare il territorio, magari eliminando tutti coloro i quali possono costituire – a vario titolo, anche solo per atteggiamenti di non accondiscendenza – un ostacolo alla loro ascesa.

L’arresto dei killer di Canale

E arriviamo agli ultimi mesi del 2017. Gli investigatori, ancora una volta coordinati dal pm Lombardo – che nel frattempo diventa procuratore aggiunto – risolvono l’omicidio Canale, quello che nelle ore immediatamente successive al fatto, fu indicato come risposta al delitto Chirico. Una visione corretta, con killer chiamati da fuori e mandanti pienamente inseriti negli organigrammi delle cosche di Reggio Nord. Si tratta di Domenico Marcianò (già in carcere e processato in “Gotha”), Sergio Iannò, un tempo autista del boss Giovanni Rogolino, Filippo Giordano, in passato uomo di fiducia del boss Nino Imerti. Tre uomini che probabilmente per molto tempo sono rimasti nelle retrovie, a svolgere mansioni non di primo piano. Ma che forse, proprio in virtù degli arresti copiosi degli ultimi anni, hanno potuto decidere la morte di Canale, come dei veri leader. Perché è evidente che non ci si può improvvisare mandanti di un omicidio di mafia di quel tipo, senza avere i “galloni” per assumere una simile decisione.

L’escalation intimidatoria

E sarà probabilmente una coincidenza, ma dopo gli arresti di killer e mandanti dell’omicidio Canale, avvenuti il 10 novembre, arriva l’escalation di atti intimidatori a Gallico, quartiere teatro di tutti questi fatti. Prima con gli spari al Lidl ed all’azienda Tramontana, poi con un furgone dato alle fiamme nientemeno che al nipote acquisito del boss Domenico Chirico. Proprio quest’ultimo fatto può essere letto in un modo più articolato. Perché se i primi due episodi possono inquadrarsi in una strategia d’intimidazione nei confronti di realtà imprenditoriali, l’incendio contro il furgone di Cartisano potrebbe nascondere un messaggio poco velato verso l’ala che faceva capo a Chirico.

Cruenta lotta per il potere

Non sfugge all’attento occhio degli investigatori che si tratta di un episodio allarmante. A Gallico è in corso una vera e propria lotta per accaparrarsi il controllo di un territorio cardine. Il quartiere, oggi, può essere definito come una polveriera che potrebbe esplodere definitivamente da un momento all’altro. Quei vuoti di potere lasciati da chi oggi si trova in cella, devono essere riempiti. Quelle caselle di comando, nuovamente assegnate. Ed allora ecco che sono tante le giovani leve che scalpitano per provare ad acquisire posizioni di vertice, forse un tempo nemmeno immaginate, ma che il grandissimo lavoro della magistratura ha reso possibili, proprio per aver tolto di mezzo coloro i quali dettavano legge.

Si potrebbero definire “scosse di assestamento”, certo. Ma abbiamo anche visto come i rampolli di famiglie storiche, dai Condello ai Tegano, ci abbiano messo pochissimo a mettere a ferro e fuoco la movida reggina per rimarcare chi fosse a comandare davvero.

Gallico è un punto d’equilibrio non indifferente nello scacchiere mafioso cittadino e provinciale. Gallico è il luogo in cui persino Paolo Romeo, ritenuto al vertice della cupola massonico-mafiosa reggina, aveva stabilito la sede dei suoi affari. Non si tratta, quindi, solo di prendere possesso di qualche attività estorsiva o taglieggiare il piccolo commerciante. No, chi sta puntando al comando sta cercando di fare una caccia grossa e porsi come punto di riferimento ‘ndranghetistico per il futuro.

Le prime risposte dello Stato

Le istituzioni hanno già messo in campo le prime importanti risposte: un intero quartiere passato al setaccio due giorni fa. Perquisizioni, controlli su persone e veicoli. Potrebbe sembrare poco, così non è. Sentire la pressione dello Stato, avvertire il fiato sul collo di polizia e carabinieri potrebbe certamente determinare un freno a questa preoccupante escalation. Certo, non può bastare. Ma per ottenere risultati rilevanti sotto il profilo investigativo occorre del tempo. Serve studiare con attenzione ciò che accade, individuarne la genesi precisa e dare nomi e volti agli aspiranti boss che vorrebbero creare nuovamente terrore e sangue in una città che non può più permettersi di essere dormiente, o peggio, complice silenziosa di un cancro che la sta divorando da tanti, troppi anni.

 

Consolato Minniti