Il pentito Carmine Pablo Minerva racconta ai magistrati della Dda le dinamiche di quello che sembra un gran bazar. «Ogni cosca gestisce le palazzine del quartiere di sua competenza»
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«Certamente i Labate nel loro quartiere, il Gebbione, gestiscono le assegnazioni delle case popolari. Loro dicono se si può stare o meno in un determinato immobile. Lo dico per esperienza personale». È il collaboratore di giustizia Carmine Pablo Minerva a raccontare ai magistrati della distrettuale antimafia dello Stretto come funziona il “mercato” parallelo delle case popolari in città. “Battezzato” in carcere nel 2004 e inserito nelle fila dei Serraino e poi, in seguito all’ipotesi concreta di finire ammazzato sotto «fuoco amico», accolto nelle famiglie di Cataforio, Minerva racconta agli inquirenti la sua personale esperienza rispetto all’assegnazione degli alloggi popolari. «Io avevo trovato una casa a viale Quinto – dice durante un interrogatorio spiegando come avesse preventivamente dovuto avvisare un elemento della cosca coperto da omissis – ma prima di andare all’Aterp mi sono dovuto rivolgere a… per ottenere il permesso di prenderla. Prima dell’autorizzazione dell’Aterp, ci va l’autorizzazione della ‘ndrangheta. Per ogni rione, c’è la persona di riferimento della ‘ndrangheta che va all’Aterp e cura questo tipo di rapporti. Ogni cosca gestisce le case popolari del quartiere di sua competenza criminale».
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Anche Minerva ha puntato un appartamento di edilizia popolare: quello in cui vive la nonna di sua moglie, che quello stesso appartamento lo aveva occupato anni prima e su cui non ha mai pagato alcun canone. «Mia moglie voleva vendere un alloggio di edilizia popolare Aterp in viale Calabria. Era intestato alla nonna di mia moglie ma la signora non ha riscattato l’appartamento, né ha mai pagato canoni di locazione. Voleva andare via di lì e lasciare casa alla nipote».
Ma qualcosa va storto e quell’appartamentino viene occupato abusivamente da una terza persona. «Quando siamo arrivati abbiamo trovato 50mila euro di danni, l’ho quindi rivenduta ad uno dei Laurendi di Gebbione. Lui si rivolse a Giarmoleo il quale aveva un “gancio” con la signora dell’Aterp che gli ha spiegato come fare per entrare in possesso della casa».
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Al gran bazar del mercato illegale delle palazzine popolari, racconta il collaboratore, tutto è codificato e segue un iter preciso. E così, il gancio all’Aterp, racconta ancora Minerva «gli disse di portare 5mila euro e regolarizzava la posizione della nonna di mia moglie, pagando i bollettini. Così ha fatto un nuovo contratto alla nonna di mia moglie. Poi il Laurendi si sarebbe messo nel suo stato di famiglia, così si sarebbe comprato lui la casa. L’hanno fatto anche se Laurendi era un estraneo rispetto al nucleo familiare. Laurendi ha minacciato i miei parenti affinché si togliessero la residenza da lì, per potere poi avere l’assegnazione da solo, senza altri inseriti nel suo stato di famiglia».
E se negli uffici dell’Aterp le cose si potevano aggiustare inseguendo i cavilli suggeriti dal “gancio” interno, per i controlli effettuati dall’autorità sulla corretta residenza dei protagonisti di questa vicenda ingarbugliata, bastava pagare i vigili arrivati sul posto. «Poi sono venuti i vigili a fare i controlli per la residenza. Ho dato loro 1.500 euro in una busta gialla (750 ciascuno). Prima di dare loro questi soldi, siamo andati sotto casa ma i vigili non sono voluti nemmeno salire a vedere l’immobile, non volendosi mettere contro il Laurendi».
Pochi passaggi e la truffa è servita: «Laurendi ci ha dato 2mila euro e a mia zia ha pagato i debiti di mio zio con un oste. Questo è stato il prezzo per l’acquisto della casa».