Il profilo criminale del 53enne di Oppido Mamertina è di quelli che mettono i brividi: per poche migliaia di euro assoldava killer che diventavano sicari fantasma agli ordini delle cosche (ASCOLTA L'AUDIO)
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Metteva in piedi gruppi di fuoco che partecipavano agli agguati nelle faide del Vibonese e del Reggino. Bande di killer al soldo della ‘ndrangheta pagate per portare morte nelle guerre tra clan. Il profilo criminale di Salvatore Callea è di quelli che mettono i brividi: basso profilo, fuori dai ruoli di comando delle cosche, ma specializzato nel reclutare assassini per conto della 'ndrangheta.
Nella provincia di Vibo Valentia Salvatore Callea, detto cumpari Turi, compare nel 2011, ingaggiato dal boss Pantaleone Mancuso detto Scarpuni per vendicare un omicidio nello scontro tra il clan Patania e quello dei Piscopisani. La ricostruzione della sua storia e della guerra nel Vibonese è stata mandata in onda nella quarta puntata di Mammasantissima - processo alla 'ndrangheta.
La faida tra Piscopisani e i Patania
È il 16 settembre del 2011, al confine tra Francica e Piscopio di Vibo Valentia viene assassinato Michele Mario Fiorillo. È un agricoltore che vanamente aveva denunciato le angherie del clan Patania. Ad ucciderlo, a colpi di fucile, è Cosimo Caglioti, che sarà processato e condannato per mafia ed omicidio, morirà a soli 30 anni nel carcere di Secondigliano.
Michele Mario Fiorillo aveva legami parentali con esponenti di spicco del clan dei Piscopisani, i quali bramano immediata vendetta. Così, appena due giorni dopo, mentre sono in corso i funerali di Fiorillo, i Piscopisani uccidono il boss Patania mentre gioca a carte. È Raffaele Moscato - che una volta arrestato, qualche anno dopo, diverrà collaboratore di giustizia - a premere il grilletto e a freddare il patriarca. È l’inizio di una faida.
La regia di Pantaleone Mancuso
I Patania sanno di non poter affrontare una guerra contro i Piscopisani, molto più forti sul piano militare. Si rivolgono così a colui che in quel momento storico è il più potente mammasantissima della provincia a piede libero, il boss di Nicotera Marina Pantaleone Mancuso detto Scarpuni.
Scarpuni è un tipo scaltro, astuto e comprende che quello è il momento in cui può maturare la vendetta contro i Piscopisani, che nel marzo dell’anno precedente avevano ucciso un suo uomo di fiducia, Michele Palumbo, a Longobardi di Vibo Valentia. Così mette a disposizione dei Patania armi e soldi: ingaggeranno un commando di sicari sconosciuti provenienti da fuori regione. Una volta regolati i propri conti con i Piscopisani, i Patania, però, dovranno regolare anche quelli aperti da Scarpuni, sterminando i suoi nemici.
Salvatore Callea: il broker della morte
Qui entra in scena Salvatore Callea. Originario di Oppido Mamertina è una sorta di broker della morte: i clan chiedono sicari a buon prezzo e lui li trova. Callea vive a Canino, pacifico comune di 5.000 anime nella maremma laziale. Assolda Vasvi Beluli, macedone, Arben Ibrahimi, albanese, e Mauro Uras. Della sua batteria di fuoco, però, fanno anche parte Nicola Figliuzzi e Christian Loielo, che il 12 agosto 2011, esattamente un mese prima dell’inizio della faida nel Vibonese, aveva mandato a Reggio Calabria per ammazzare Giuseppe Canale per conto del clan Chirico di Gallico.
Questa, però, è un’altra faida. Nel Vibonese, il commando reclutato da Callea, rendendosi invisibile ai Piscopisani, deve seminare terrore e morte. Il primo agguato però fallisce: il bersaglio è Francesco Scrugli, Ibrahimi gli spara con un fucile di precisione, il proiettile gli attraversa il collo ma non colpisce parti vitali. Scrugli però è comunque condannato a morte.
Gli omicidi dei sicari fantasma
Grazie ad una soffiata, viene scovato nel covo di Vibo Marina, dove si nasconde assieme a Raffaele Moscato e Rosario Battaglia, il capo della falange militare dei Piscopisani. Beluli, Ibrahimi e Uras li attendono su un pianerottolo: Scrugli resta ucciso, Moscato e Battaglia sopravvivono. È il 21 marzo 2012.
I Piscopisani affrontano un nemico invisibile e sconosciuto. E colpiscono alla cieca. Muore, così, anche chi non c’entra nulla, come Mario Longo. Gli uomini di Callea, invece, sanno bene chi colpire. E il 7 luglio entrano in azione in pieno giorno: a Vibo Marina, in spiaggia, davanti a decine di bagnanti, donne e bambini, uccidono Davide Fortuna, legato ai Piscopisani e sulla lista della morte scritta da Pantaleone Mancuso.
C’è però un caffè di troppo per i sicari fantasma assoldati da Callea, che nel frattempo si spostano anche tra Melicucco e Cinquefrondi, nel Reggino, sparando ai Ieranò per conto della famiglia Fossari. È partendo da una tazzina che la Squadra mobile di Vibo Valentia identifica Vasvi Beluli, lo colloca sul territorio, sui luoghi degli agguati. E così lo arresta, assieme a tutti gli altri sicari. Beluli e Ibrahimi vuotano subito il sacco. Per primo accuseranno Salvatore Callea, il reclutatore di assassini, pagati poche migliaia di euro per uccidere secondo il volere delle cosche.