«È stato il Presidente della Repubblica a non volermi ministro della Giustizia». Il procuratore di Catanzaro Nicola Gratteri lo ha ribadito spesso, raccontando in diverse interviste come andarono i fatti il 21 febbraio 2014, quando il presidente del Consiglio incaricato, Matteo Renzi, si presentò al Quirinale per sottoporre la lista dei ministri a Giorgio Napolitano, morto ieri all’età di 98 anni. 

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Su quella lista, secondo una ricostruzione mai smentita, si abbatté il veto del Capo dello Stato quando alla voce “Guardasigilli” Renzi gli fece il nome del magistrato calabrese. Una scelta insindacabile, sostenuta probabilmente da altri esponenti della magistratura di altissimo livello. Troppo ingombrante Gratteri, troppo “poliziotto” e inviso a molti suoi colleghi.

Quello che allora era ancora l’enfan prodige di Rignano sull’Arno, Renzi appunto, aveva conosciuto Gratteri appena poche ore prima, quando gli aveva chiesto la disponibilità a diventare ministro. Una scelta di campo dal forte significato politico, destinata a incendiare anche le proprie fila, perché spostava il baricentro della sinistra italiana su un fronte ormai abbandonato da tempo dopo i controversi esiti della stagione di Mani Pulite, quando in molti erano in prima fila a lanciare monetine per abbattere il sistema. 
Renzi, che un mese dopo, il 25 maggio, da presidente del Consiglio avrebbe conseguito un successo strepitoso alle elezioni europee, sfondando il muro del 40 per cento, credeva però di avere tutta la forza politica per procedere controcorrente. Finché non incontrò le rapide del Quirinale.

«Prima che entrassero da Napolitano, alle 15,45 di quel 21 febbraio del 2014, mi telefona l’onorevole Graziano Del Rio e mi dice: le passo il presidente Renzi». Ha raccontato Gratteri circa un anno fa a Piazza Pulita, intervistato da Corrado Formigli. Una telefonata fatta poco prima di salire al Quirinale per avere conferma della sua disponibilità: «Dottore, non è che lei poi si tira indietro? È davvero disposto a fare il ministro?». Il magistrato di Gerace, che presto andrà a guidare la Procura di Napoli, risponde a modo suo: «Presidente, io sono una persona di parola. Se ho la possibilità concreta di fare le riforme delle quali abbiamo parlato stanotte (alludendo all’incontro nello studio di Del Rio di poche ore prima, ndr) allora va bene, altrimenti no». E Renzi, secondo il racconto di Gratteri, replica con un secco: «Lei ha carta bianca».

Ma una volta oltrepassata la porta con a guardia i corazzieri, la situazione cambia. Il colloquio con Napolitano si protrae oltre il previsto e i giornalisti in attesa della lista ufficiale dei ministri cominciano a chiedersi perché. «Stanno litigando per me», pronostica Gratteri ai suoi collaboratori, mentre segue le fasi della formazione del nuovo Governo. Alla fine, a fare il guardasigilli viene chiamato Andrea Orlando. 

Poco tempo dopo l’intervista di Formigli e a distanza di molti anni dal veto di Napolitano, quando ormai la sua parabola politica si era già inabissata nelle percentuali da zero virgola di Italia Viva, Renzi ha confermato da Giletti, «per filo e per segno», questa ricostruzione, allargando però la rosa delle responsabilità sulla mancata nomina a gran parte della magistratura: «Io volevo uno che fosse completamente slegato dai giri romani, che fosse lontano dalle dinamiche delle correnti. Su Gratteri ricevetti un No. E il Presidente della Repubblica non ha l’obbligo di motivare il diniego, così funziona la nostra Costituzione». Fin qui quelli che definisce i fatti. «Poi c’è la mia opinione – conclude Renzi -, e cioè che larga parte della magistratura era preoccupata dalla nomina di Gratteri a ministro della giustizia».