Il gup di Reggio Calabria ha condannato a 9 anni di reclusione il boss Cosimo Alvaro, già punito a 19 anni e 7 mesi nel processo Meta.  Sette anni, invece la pena per Domenico Alvaro, cugino del boss e per Rocco Palermo, già condannato a 8 anni per intestazione fittizia di beni aggravata da modalità mafiose. Sette anni di reclusione all’imprenditore Giasone Italiano, già coinvolto in diverse inchieste ma mai condannato.


Per il Gip Tommasina Cotroneo il clan Alvaro riproduce tutte le modalità di operare della mafia  “dalla paura della gente tale da non richiedere violenza, alle violenze sistematiche che tale paura hanno sedimentato a tali livelli da determinare terrore il solo nome del gruppo, alla organizzazione gerarchica complessa con mezzi e uomini, alle attività e finalità non singole ma massicce e capillari su tutti i negozi e tutti gli appalti, alla pubblica amministrazione e alla politica che si tenta di deviare, subornare, influenzare ed infiltrare”. Inoltre, sempre per il gip Cotroneo , il clan Alvaro è soprattutto “mafia vera perché si ritiene padrona piena ed esclusiva del territorio, con tutti i relativi poteri. È mafia che vive anche del "prestigio" dei capostipiti mitici, intatto anche con la detenzione, per come emergente dalla serie di dichiarazioni incrociate di collaboratori che dipingono prestigio, alleanze, potere ricattatorio e capacità e possibilità di comunicare determinazioni dal carcere”.


Secondo la ricostruzione degli inquirenti, dopo la morte di Don Mico Alvaro sarebbe stato il figlio Cosimo, assieme al cugino Antonio Alvaro, a prendere il comando della cosca. Cosimo Alvaro, costretto a stare lontano da Sinopoli perché interdetto, si trasferì a Reggio Calabria dove sarebbe riuscito a mettere le mani su diverse attività imprenditoriali, come quella del bar Crystal.
Ma, a causa dell’allontanamento di Cosimo Alvaro da Sinopoli, Antonio Alvaro avrebbe gestito, così come accertato dalle indagini, la cittadina con l’aiuto di personaggi politici imposti dal clan. E qui sarebbe entrato in gioco l’ex sindaco di Sinopoli, Rocco Palermo. “Palermo – aveva sottolineato al riguardo il pm Di Palma in sede di requisitoria – è un soggetto che tutto è tranne che un sindaco equidistante che lavora per il bene della collettività. L'unica equidistanza che riesce a mantenere è quella fra i due rappresentanti della cosca. Il suo compito è quello di fare contenti gli uni e gli altri e quando si rende conto che non ci sta riuscendo, si dice disposto a dimettersi. È l'uomo della famiglia Alvaro nell'amministrazione pubblica e poco importa che non sia il sindaco di una grande città, perché quando si mette la fascia tricolore Rocco Palermo rappresenta l'istituzione”.