L’inchiesta Recovery racconta la parabola di due pusher divenuti vittime del sistema di spaccio nel quale erano inseriti: «Ha sfondato di palate Alfredo e Candiduzzu». Le botte per un debito da 15mila euro e la paura di Antonio Caputo che non si presenta all’incontro con il capo
Tutti gli articoli di Cronaca
PHOTO
Il sistema funzionava come una macchina a ingranaggi: i vertici compravano grosse partite di droga dai narcotrafficanti reggini, le cedevano ai vari pusher disseminati sul territorio cosentino e, dopo che questi avevano venduto la merce, andavano a recuperare la loro grossa fetta di denaro. Ma, racconta l’inchiesta Recovery della Dda di Catanzaro, il recupero dei crediti vantati dalla ‘ndrangheta cosentina nei confronti dei pusher poteva comportare non pochi effetti collaterali. Un esempio su tutti lo evidenzia la vicenda che vede protagonista il reggente della cosca Lanzino-Patitucci, Roberto Porcaro, e tre pusher. Ma procediamo con ordine.
L’ingranaggio schiacciato dal sistema
Secondo quanto racconta il collaboratore di giustizia Mattia Pulicanò, Roberto Porcaro, uno dei vertici della cosca Lanzino-Patiucci, aveva un referente a San Lucido per l’approvvigionamento degli spacciatori: Alfredo Sirufo, 39 anni.
Quest’ultimo, insieme a Porcaro, è stato tratto in arresto questa mattina nel corso dell’operazione Recovery.
Sirufo è accusato di aver fatto parte dell’associazione dedita al narcotraffico governata dalla cosca Lanzino-Patitucci.
Allo stesso tempo il 39enne è vittima dello stesso sistema del quale era ingranaggio. Lui e un altro indagato, Candido Perri, erano pusher di Bruno Bartolomeo.
Sirufo e Perri sarebbero incorsi nelle ire di Porcaro, a gennaio 2019, per la somma da 15mila euro che dovevano consegnare a Porcaro per una fornitura di stupefacente.
Gli arresti della Dda | La rete del narcotraffico a Cosenza organizzata come un partito: “sezioni” di pusher in ogni Comune per inondare di droga la provincia
Le botte per un debito non pagato
Il 12 gennaio 2019 i due vengono malmenati da Roberto Porcaro che per tale episodio è indagato per estorsione aggravata. Questo racconta Antonio Caputo, 26 anni, (ritenuto elemento attivo nello spaccio di droga) al fratello – «stamattina Roberto ha sfondato di palate ad Alfredo e Candiduzzu» – aggiungendo che alla fine i due pusher sono andati a casa e «hanno preso tutti i nomi di quelli che dovevano dare soldi a Bruno». In quel periodo Bruno Bartolomeo era in prigione e a rispondere per lui erano i suoi pusher.
Nell’elenco dei debitori risulta essere anche Antonio Caputo con un ammanco di 2.600 euro.
Porcaro manda a chiamare Caputo tramite la nipote: «Digli a tuo zio – le dice – di venire stasera alle otto e mezza e quanto... quanto, sul biglietto c'è scritto 2600 euro».
Ma Caputo, forse consapevole delle botte che avevano ricevuto Surufo e Perri – «ad Alfredo gli ha aperto tutto questo», dice indicando probabilmente una parte del corpo – preferisce mandare in avanscoperta suo fratello maggiore Giuseppe, 39 anni, il quale non si mostra molto contento della vicenda e racconta alla madre che Antonio «deve ringraziare che in mezzo ci sono io adesso, che se non c'ero in mezzo io Antonio era rovinato con i ca**i!».
Così Antonio Caputo rimanda l’appuntamento con Roberto Porcaro mandandogli a dire che ha ricevuto tardi il messaggio della nipote e che suo fratello Giuseppe, 39 anni, andrà a parlare con lui.
’Ndrangheta | Le soffiate del militare infedele ai membri del gruppo Porcaro e le contromisure per sfuggire al blitz: «Nascondi i lingotti»
La rateizzazione concessa da Porcaro
Alla fine Porcaro dà il suo beneplacito a dilazionare il debito in 500 euro al mese che il fratello Giuseppe tratterrà dal salario che gli paga, visto che Antonio Caputo lavora per la ditta di Security di Giuseppe. «Li vuole a cinquecento euro al mese, né un euro in meno e né un euro in più», è il messaggio inesorabile che manda Porcaro.
«… come glieli do a cinquecento euro al mese?», si chiede Antonio Caputo.
«A cinquecento euro al mese glielo do io!», gli dice il fratello e gli fa due conti in tasca: «A te ti scalo due e cinquanta, la metà! e non voglio sentire remissioni, Antonio! non venirmi a dire tip e tap, non me ne frega niente Antonio! cinquecento glieli do io, e poi te li tolgo a due e cinquanta la volta!».
In questo balletto di debiti, forniture di droga e botte date e promesse, quello che rischia di uscirne maggiormente con le ossa rotte è Alfredo Sirufo. Non solo perché ha assaggiato l’ira di Porcaro ma anche perché altre botte le minaccia pure Antonio Caputo.
Quest’ultimo, infatti, accusa Sirufo e Perri di averlo messo in un elenco di debitori nel quale non sarebbe dovuto stare perché, asserisce, lui quei soldi li doveva a Bartolomeo quando questi stava con un altro pesce grosso della mala cosentina che riforniva droga: Michele Di Puppo.
’Ndrangheta | Arresti a Cosenza, Capomolla: «Anche i bambini messi a spacciare, traffico di droga strumento per il controllo del territorio»
«Ad Alfredo lo mando all’ospedale»
Antonio Caputo alza la cresta, chiede al fratello di avere il benestare da Porcaro per poter picchiare (pure lui) Sirufo.
«Devi fare una cortesia – dice al fratello –: mi devi dare il tuo consenso che ad Alfredo io lo devo picchiare, solo questo gli devo dire. Quando Roberto mi dirà domani sera “vai schiattalo e se viene qualcuno diglielo che te l'ho detto io”. (...) sono già andato al bar, sono andato al bar, ho detto a Marco chiama a tuo cognato ho detto, chiama a tuo cognato che adesso te lo mando all'ospedale, è venuto Andrea e mi ha detto ho detto ha preso Andrea ed ha detto se Roberto domani sera mi dice si, domani sera: lascio a te a casa, alle sette e trenta vado al bar prendo ad Alfredo e lo faccio pezzi pezzi, forse non hai capito…».
Ma il fratello maggiore, ha altro a cui pensare: è notte e il giorno dopo deve risolvere i guai del minore e cercare di ottenere una rateizzazione senza conseguenze. Lo ascolta sbraitare, inveire e minacciare poi, laconico, gli risponde: «Chiudimi la luce».