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Sono figlie, nipoti, mogli di mafiosi: sono venti mamme coraggio che dal 2012 ad oggi si sono rivolte al presidente del Tribunale dei minorenni di Reggio Calabria, Roberto Di Bella, per ottenere il cosiddetto “provvedimento di decadenza (o di limitazione) della responsabilità genitoriale” che si può attivare quando l’incolumità fisica o psicologica dei minori è in pericolo. Si tratta di togliere alle loro famiglie bambini, ragazzi che avrebbero altrimenti un destino già segnato. Le voci di queste madri raccolte da “Repubblica” grazie all’associazione antimafia “Libera”.
Il progetto, supportato dalla rete delle diocesi e della Caritas, ha già offerto una strada alternativa a una cinquantina di giovani: «Dieci di loro sono diventati maggiorenni – racconta il magistrato al quotidiano - Di questi 5 sono rimasti fuori dalla Calabria a lavorare, gli altri sono tornati ma solo uno è incappato nella giustizia e non per un reato di mafia. Altre mamme ci stanno pensando e, per la prima volta, anche un padre ha apprezzato ciò che stiamo facendo».
Firmato un protocollo
Per questa scelta Di Bella si è sentito chiamare anche “ladro di figli”. Ma non per questo si è scoraggiato nell’idea di portare nuova e pulita linfa a una Regione, la Calabria, già segnata dal sangue della ‘ndrangheta. È così che la sua idea, con l’obiettivo di estenderla a tutto il territorio nazionale, è diventata un protocollo firmato tra governo, Procuratore nazionale antimafia, Federico Cafiero De Raho, la Conferenza Episcopale Italiana e il presidente di Libera Don Luigi Ciotti.
Il documento firmato a Roma durante la quarta edizione di “Contromafie”. E dal Dipartimento per le Pari Opportunità e la Cei sono stati stanziati 300mila euro, per il sostegno alle comunità, alle case famiglia e agli psicologi coinvolti.
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«Ci sono donne che hanno il coraggio e il desiderio di cambiare»
«E' un passo molto importante - ha sottolineato De Raho - per il cambiamento della Calabria. Il protocollo sarà un esempio anche per la Sicilia, la Campania e la Puglia. Le donne che appartengono a famiglie mafiose possono finalmente contare su una rete in grado di sostenerle e attuare quel trasferimento in un territorio lontano da quello di origine per garantire un futuro migliore ai propri figli. È l'obiettivo - ha proseguito il procuratore - che desideravamo da tempo conseguire: dare a chi vuole un'alternativa di vita un'esistenza diversa e migliore. E soprattutto la possibilità di sganciarsi dalle famiglie della 'ndrangheta dove ancora sono presenti rituali che appartengono ad un periodo arcaico che sembra risalente alla preistoria.
Ci sono donne che hanno il desiderio e il coraggio di voler cambiare - ha concluso De Raho - comprendendo che altre alternative non possono esserci se non quelle di affidarsi a una rete. Vogliono portare fuori i propri figli per non vederli boss, uccisi o in carcere. E soprattutto non vogliono vederli soffrire come i componenti della famiglia che hanno operato nel crimine». (m.s.)