FOTO | Manifestazione contro la mega opera voluta dal Governo: «Case abbattute e sprechi per distruggere un posto bellissimo e dare il via all’ennesima incompiuta». Salvini nel mirino di chi protesta
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«Facciamo un grosso applauso allo Stretto, facciamo un grosso applauso alla meraviglia di questo posto magico che il Governo vuole distruggere per sempre». Il popolo "No ponte" è tornato: colorato, rumoroso, armato di bandiere, striscioni e cori beffardi, soprattutto verso Salvini.
Il variegato mondo che del collegamento fisso tra Sicilia e Calabria proprio non vuole nemmeno sentirne parlare, si è ritrovato, dopo anni in cui l'idea stessa del ponte era finita in soffitta, in una caldissima giornata di metà giugno per tentare di contrastare l'accelerazione impressa dal nuovo esecutivo. L'appuntamento è a Torre Faro, ultima appendice di Messina a due passi dal "pilone".
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Quella di oggi è la prima manifestazione ufficiale da quando, nel 2013, il Governo Monti, con la messa in stato di liquidazione delle società Stretto di Messina, sembrava avere messo una pietra tombale all'idea di collegare le regioni più meridionali del Paese. C'è entusiasmo, ma anche un po' di apprensione: i tempi delle manifestazioni oceaniche dei primi anni 2000 sono lontani, e il timore di essere in pochi si sente. Timore che presto si dimostrerà infondato: alla fine saranno quasi 3mila in strada. I primi ad arrivare sono le persone che la sponda siciliana dello Stretto la vivono tutti i giorni. è a Capo Peloro che il progetto definitivo - unico ad oggi disponibile - prevede la costruzione di uno dei due piloni che dovranno sostenere il peso della campata unica. E sono proprio gli abitanti di uno dei tre vertici della Sicilia ad occupare la strada per primi.
«La mia casa è una di quelle che verranno abbattute - racconta un signore arrivato in strada completamente avvolto in una bandiera - e per cosa? Magari per lasciare il posto ad una porcheria che si aggiungerà all'elenco infinito di incompiute di questa regione».
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Sono i siciliani i padroni di casa, ma anche dalla sponda calabrese dello Stretto sono arrivati a urlare il loro dissenso all'opera su cui, forse, si è più fantasticato nella storia dell'Italia unitaria. Sulla nave partita da Villa nel primo pomeriggio erano una cinquantina ma, alla spicciolata, molti reggini hanno deciso di unirsi alla protesta. Qualcuno, bandiere no ponte al vento, è arrivato anche in barca a vela, a sottolineare come il collegamento tra le due sponde esista già, anche se fatto di acqua.
Alle sei di questa caldissima giornata di inizio estate il serpentone parte composto. Centri sociali, bandiere rosse, anche la presenza dei circoli democrat messinesi - «ma anche da Reggio sono venuti» dice uno dei rappresentanti Pd della città peloritana - per una piazza "di sinistra" che rivendica strade normali e ferrovie all'altezza del ventunesimo secolo.
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«Ci chiamano il popolo del no - gridano dal camion che guida il lungo serpentone - ma non hanno capito niente. Noi diciamo sì, ma diciamo sì a strade sicure e collegamenti efficienti. Non abbiamo bisogno del ponte, fateci andare a Trapani in due ore e non in 8».
La stessa rivendicazione che urlano gli attivisti reggini, incastrati in queste ultime settimane tra strade killer e arterie fondamentali sul punto di essere chiuse. «Quando avranno fatto il ponte - racconta un pendolare che dalla Locride si sposta a Messina per studio - ci metterò pochi minuti ad attraversare lo Stretto. Delle due ore che invece devo buttare per percorrere poco più di cento chilometri fino a Reggio però non gliene frega niente a nessuno».