Peppe “Manigghja” Jerinò. Un pezzo da novanta della ‘ndrangheta, che ha attraversato lustri e territori, che è stato il collante tra le ‘ndrine della Locride e quelle della dorsale appenninica. Un uomo chiave che da Gioiosa Jonica avrebbe condizionato gli equilibri mafiosi di mezza Calabria, dalla prima faida dei boschi ai traffici di stupefacenti.
Jerinò, oggi, finisce al carcere duro. Il ministro Orlando ha infatti accolto la richiesta partita dalla Direzione distrettuale antimafia di Reggio Calabria che l’aveva arrestato già nel settembre 2014, nel contesto dell’operazione denominata Ulivo 99. Nel successivo processo, definito in primo grado davanti al Tribunale di Locri, è stato condannato a 30 anni di reclusione.
Erede di don Ciccio Jerinò, il patriarca che avrebbe ospitato perfino Michele Navarra durante la latitanza, prima di essere assassinato dai Corleonesi, Giuseppe Jerinò è il fratello di Vittorio, già coinvolto in diverse vicende giudiziarie, la più nota quella relativa al sequestro di Roberto Ghidini. L’operazione Ulivo 99, che ha scardinato un sistema di narcotraffico intessuto tra la Romania e la Bolivia, passando per la Calabria e i Paesi bassi, potrebbe costituire il capolinea di una storia criminale.