’Ndrangheta

Passava informazioni ai clan della Piana di Gioia Tauro, condannato a 16 anni l’ex poliziotto infedele Gianluca Castagna

Arriva la sentenza di primo grado del Tribunale di Palmi. Il messaggio al rampollo del clan da cui sono iniziati i guai dell’ex agente: «Amore, farà caldo stanotte». Per la Dda era un avvertimento al boss

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di Pablo Petrasso
26 luglio 2024
06:45
Il tribunale di Palmi e, nel riquadro, Gianluca Castagna
Il tribunale di Palmi e, nel riquadro, Gianluca Castagna

«Amore farà caldo stanotte non so se anche da te, bacio». Il messaggio arriva poco prima della mezzanotte dell’8 luglio 2018 a Zhao Chengtian. Mittente: Gianluca Castagna, poliziotto. L’amore, però, non c’entra nulla e neanche il caldo. 

Zhao Chengtian non esiste: il messaggio è destinato a Rosario Grasso, rampollo di una famiglia di ‘ndrangheta della Piana di Gioia Tauro. Grasso registra la dritta e sparisce: si dà alla macchia fino al maggio 2019, quando sarà arrestato ed estradato dalla Spagna.


Con quel messaggio iniziano i guai giudiziari di Castagna, che verrà arrestato il 14 ottobre 2020 e accusato dalla Dda di Reggio Calabria di essere una divisa sporca, un agente infedele. Quell’iter è giunto in queste ore alla sentenza di primo grado. L’ex poliziotto è stato condannato dal Tribunale di Palmi a 16 anni di reclusione e 80mila euro di multa oltre che al pagamento delle spese processuali.

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È inoltre interdetto in perpetuo dai pubblici uffici e in stato di interdizione legale per tutta la durata della pena. Il dispositivo emesso dai magistrati Angelina Bandiera (presidente), Francesca Morelli e Marco Iazzetti gli applica anche la misura di sicurezza della libertà vigilata per un periodo non inferiore a 3 anni, il divieto di espatrio e il ritiro della patente (sempre per 3 anni).

Castagna, prima dell’esecuzione dell’ordinanza di custodia cautelare nel 2020, era un sovrintendente della Polizia di stato: fino a pochi mesi prima dell’arresto era stato in servizio nel posto di Polizia di Frontiera marittima del porto di Gioia Tauro. Proprio da quella postazione, si sarebbe speso per aiutare i clan a sottrarsi alle operazioni antimafia. Grazie alle sue soffiate – era l’ipotesi investigativa della Dda reggina guidata dal procuratore Giovanni Bombardieri – avrebbe aiutato Grasso, considerato il rampollo della cosca Cacciola-Grasso, a sfuggire all’arresto nell’inchiesta Ares. In quella circostanza furono addirittura in 7 a rendersi irreperibili.

Grasso, era un’altra delle accuse, avrebbe condiviso informazioni strategiche su container e rotte delle navi che interessavano alla cosca per portare a termine i propri traffici di stupefacenti. Le contestazioni dell’antimafia dello Stretto hanno retto al primo step processuale: la partita ora si giocherà davanti alla Corte d’Appello.

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