Sono molteplici i legami dei clan Iozzo di Chiaravalle e Chiefari di Torre di Ruggiero con le cosche vibonesi messi in luce dall’operazione “Ortrhus” scattata oggi con il coordinamento della Dda di Catanzaro. Legati a loro volta – i Iozzo ed i Chiefari – da un matrimonio (la moglie del presunto boss Mario Iozzo di Chiaravalle è figlia di Maria Chiefari, sorella di Antonio Chiefari, 68 anni, detto “U Tartaru”, ritenuto al vertice del clan di Torre Ruggiero), sarebbe stato Mario Iozzo, detto “Marino”, ad avviso del collaboratore di giustizia Salvatore Danieli, ad intromettersi nell’aggiudicazione delle gare d’appalto per il taglio dei boschi ricadenti nei comuni di Chiaravalle, Cenadi, Olivadi e Centrache, in accordo con la consorteria di ‘ndrangheta di Vallefiorita e di quella riconducibile al boss Rocco Anello di Filadelfia, con un sistema di rotazione delle imprese boschive assoggettate alle rispettive cosche di ‘ndrangheta nell’aggiudicazione dei lotti per i quali le ditte erano tenute a versare una somma a titolo di estorsione ovvero per essere favorite nell’aggiudicazione”.

 

I summit per spartizione dei boschi a Cenadi


Il pentito ha poi raccontato agli inquirenti di aver preso parte a diversi incontri per la spartizione degli appalti boschivi unitamente a Giuseppe Bruno di Vallefiorita e Mario Iozzo di Chiaravalle, i quali avevano convenuto che, per il territorio di Cenadi, occorresse un accordo fra le tre cosche – Bruno di Vallefiorita, Iozzo di Chiaravalle e Anello di Filadelfia – essendo tale Comune al confine con i territori controllati dalle stesse.

Gli Iozzo al matrimonio insieme ai Vallelunga ed ai Bonavota. Ad ulteriore conferma del pieno inserimento della famiglia Iozzo di Chiaravalle in contesti di ‘ndrangheta, gli investigatori sottolineano che in occasione del matrimonio di tale “Ciccio di Vallefiorita”, a Raffaele Iozzo venne riservato un posto a capotavola in quanto figlio di Marino Iozzo. Al matrimonio sarebbero stati presenti anche esponenti del clan Bonavota di Sant’Onofrio. Al lato opposto dello stesso tavolo si sarebbe invece accomodato Mario Vallelunga, figlio del defunto boss Damiano Vallelunga. Gli organizzatori del matrimonio avrebbero quindi precisato a Raffaele Iozzo che “quel posto gli spettava, così come al figlio di Damiano”. Non sarebbe mancata del resto neppure la mediazione degli Iozzo con il boss Rocco Anello di Filadelfia per il ritrovamento di un escavatore rubato ai Chiefari di Torre Ruggiero.


Il “locale” di Serra San Bruno e le ‘ndrine distaccate


 
E’ il pentito Gianni Cretarola della ‘ndrina di Gagliato – capeggiata secondo gli inquirenti da Massimiliano Sestito – a spiegare la suddivisione mafiosa del territorio prima dell’omicidio di Damiano Vallelunga (settembre del 2009). A capo del “locale” di ‘ndrangheta di Serra San Bruno, guidato dal boss Damiano Vallelunga, oltre alla ‘ndrina di Gagliato avrebbero fatto parte quella di Soverato con a capo Vittorio Sia (ucciso il 22 aprile 2010 con sessanta colpi di kalashnikov a Soverato Superiore mentre si trovava a bordo di uno scooter), di Chiaravalle Centrale con a capo gli Iozzo, quella di San Sostene con i Procopio ed i Lentini, quella di Torre Ruggiero con a capo Antonio Chiefari, quella di Vallefiorita con i Bruno.

I patti non rispettati

 

 I pentiti raccontano poi che si era svolta una riunione tra esponenti della ‘ndrangheta dell’area delle Serre, tra cui quelli di Torre di Ruggiero e di Chiaravalle Centrale, presieduta da Damiano Vallelunga, il quale aveva stabilito che il territorio di Gagliato era di competenza di Massimiliano Sestito, mentre “il paese di Argusto – località geograficamente ubicata vicino Chiaravalle Centrale – era diviso a metà fra i Sestito e gli Iozzo”. Alla riunione sarebbero stati presenti, oltre a Damiano Vallelunga, anche Maurizio Tripodi di Soverato Superiore (cugino di Damiano Vallelunga), Vittorio Sia, Fiorito Procopio, Michele Lentini, gli Iozzo ed i Chiefari. A seguito della morte di Damiano Vallelunga (ucciso a Riace nel settembre del 2009 su ordine dei clan Gallace di Guardavalle e Leuzzi di Stignano), i patti non sarebbero stati tuttavia rispettati. «Quando infatti – sottolineano i pentiti – un escavatore di Antonio Chiefari è stato portato a Gagliato per effettuare dei lavori, i Sestito e Vittorio Sia lo avrebbero danneggiato per ritorsione dandogli fuoco».

 

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