VIDEO | I genitori del giovane parrucchiere, ucciso nel 2011, chiedono che il caso sia riaperto: «Nostro figlio non torna ma almeno vogliamo giustizia»
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Chiedono giustizia Domenico Sorgonà e Caterina Barillà, chiedono che sia riaperto il caso di omicidio del loro figlio Giuseppe. Nei loro volti c’è la stanchezza e la disperazione, ma anche un velo di speranza per sapere cosa è accaduto al loro figlio quella maledetta sera.
Era il 7 gennaio del 2011, Giuseppe Sorgonà, 24enne parrucchiere originario di Mosorrofa stava rientrando, dopo una giornata di lavoro. In macchina, con lui, il bimbo di 14 mesi, Domenico. A casa però il giovane non tornerà più. A raggiungerlo e a freddarlo, sono i colpi dei killer che lo colpiscono a pochi metri dal luogo di lavoro, sulla centralissima via de Nava di Reggio Calabria. Sono passati dieci anni da quel giorno ma gli assassini di Giuseppe non hanno ancora un volto. Solo mamma Caterina e papà Domenico non riescono a darsi pace. Omicidio archiviato senza autori, della morte del giovane non si parla più, persino gli inquirenti si sono arresi. Ma i genitori no. Sperano che qualcuno parli, che chi ha visto o sa qualcosa possa portare alla riapertura del caso e che si faccia luce su una morte che non ha un perché.
Il delitto
«Quella sera gli avevamo lasciato il bambino, in modo che lo riportasse alla madre prima di tornare a casa. In negozio tutti che facevano i complimenti per il bimbo. Il tempo di prendere la strada e quasi arrivati a casa (abitano a Mosorrofa, nds) siamo stati raggiunti da un parente che ha detto qualcosa su Giuseppe, non ho neanche capito all’inizio, pensavo avesse avuto un incidente» racconta la signora Caterina.
Nessun incidente, ma due assassini spietati che lo hanno freddato senza alcuna paura di mettere a repentaglio il bimbo piccolissimo che era nell’auto, coi sedili bucati dai proiettili. Ironia della sorte, subito dopo il clamore della sparatoria, a prendere in braccio il piccolo Domenico, quella sera fu Daniele Macrì, un suo collega. Morirà suicida nel 2015, dopo aver realizzato il suo sogno ed avere aperto il suo negozio.
Mentre parliamo arriva la sorella di Giuseppe e il piccolo Domenico, un bellissimo bambino che nello sguardo ricorda suo padre. «È nato tre volte Domenico – spiega la nonna – il giorno che è venuto al mondo, poi la sera dell’omicidio, salvandosi miracolosamente e qualche anno fa perché è riuscito a sconfiggere un tumore alla testa».
Tornando al 7 gennaio 2011: «Quella sera ci è caduto il mondo addosso. Era un ragazzo d’oro. Era sempre molti timido sul lavoro. E io lo spronavo: “Devi parlare con le clienti”. Ma gli volevano tutti bene. Quando è morto abbiamo avuto attestati di stima da persone che nemmeno conoscevamo» afferma la madre.
Entrambi i genitori non riescono a darsi una spiegazione di questa morte: «Abbiamo pensato che avessero sbagliato persona, per noi era una cosa inimmaginabile. Anche oggi, non riusciamo a dire “Hanno ucciso nostro figlio”. Avesse avuto un incidente, un brutto male sì. Ma una morte così non si può accettare». La signora confessa: «Per disperazione avevo chiesto al dottore che aveva fatto l’autopsia se fosse drogato: il medico mi ha rassicurato: nessuna traccia di droga».
Il caso Fallara
Tanto parlare si è fatto dell’omicidio Sorgonà collegandolo al suicidio della dirigente Orsola Fallara del Comune di Reggio Calabria, a metà dicembre 2010. Si diceva che Giuseppe fosse il suo parrucchiere e che fosse coinvolto in qualche oscuro traffico. «Ricordo la sera in cui la televisione diede la notizia – spiega ancora la madre – Giuseppe non disse nulla, avrebbe potuto dire “È una mia cliente” e invece non solo non parlò ma non ebbe alcun moto, nulla. Non la conosceva neanche. E sul suo conto c’era solo qualche spicciolo. Con le rate della macchina lo aiutavamo noi».
Indagini chiuse
Per anni i due coniugi si sono recati in Procura, prima a chiedere se ci fossero novità, poi a domandare lumi. Ma niente. Ora le indagini sono chiuse. «Siamo delusi. Per loro è come se non fosse morto nessuno» spiega papà Domenico. «Per loro il caso è chiuso per noi no. Non sappiamo perché mio figlio è stato ucciso e vogliamo che siano riaperte le indagini e che si faccia luce». Possibile che in un luogo di transito e in uno snodo come quello di piazzale della Libertà le telecamere non abbiano intercettato nessuno? Ma sperano comunque che qualcosa salti fuori. Che qualcuno che sa come sono andate le cose quella sera parli. «Mio figlio non torna ormai. Ma almeno vogliamo giustizia e sapere il perché di questa morte».