Nei verbali di confessione di Danilo Monti il racconto dell'efferato delitto. I debiti di droga, la promessa di 20mila euro e l'agguato nella macelleria
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Non si sarebbe esaurita nella primavera del 2015, la sete di vendetta di Evangelista Russo accusato di essere il mandante dell'omicidio di Francesco Rosso, macellaio 35enne assassinato a colpi di pistola nella sua attività commerciale a Simeri Mare nel Catanzarese. Il 70enne l'estate successiva all'omicidio avrebbe, infatti, meditato sull'opportunità di uccidere anche il padre, almeno secondo quanto riferito da Danilo Monti nelle dichiarazioni rese agli inquirenti a partire dall'ottobre del 2018, quando, deciso a collaborare con la magistratura, ha confessato ogni particolare dell'efferato delitto e della sua organizzazione. Per quell'omicidio sono stati arrestati anche Francesco Mauro 41 anni che avrebbe consegnato la pistola al killer; Gregorio Procopio, 56 anni e il figlio Antonio di 31 oltre a Vincenzo Sculco trentenne di Andali.
La sete di vendetta e il saldo del delitto
«Nell’estate successiva all’omicidio, quando sono rientrato da Lecco in Calabria - racconta Monti - Vincenzo Sculco mi ha confidato che Francesco ed il suo datore di lavoro gli avevano offerto altri 30mila euro ed un posto di lavoro nell'officina se avesse compiuto l'omicidio del padre di Francesco Rosso. lo nell’occasione gli consigliavo di lasciare perdere e di non frequentarli nemmeno perché già avevamo seri problemi per quello che avevamo fatto». E già 19mila euro avrebbe ottenuto Danilo Monti come compenso del delitto, somma saldata in più rate: «La sera dell’omicidio ho dormito in uno degli appartamenti del villaggio Carioca a Botricello, ospitato da Vincenzo Sculco e Gregorio Procopio mentre il giorno dopo l'omicidio Vincenzo Sculco mi ha raggiunto a Cerva nel locale dove stavamo bevendo qualcosa con un mio amico che festeggiava il suo compleanno. In questo luogo ci siamo appartati io e Vincenzo Sculco, il quale mi ha consegnato una ulteriore rata di 7mila euro circa del prezzo per l'omicidio che avevo commesso. Dopo due o tre giorni Vincenzo Sculco in un bar di Botricello, del quale adesso non ricordo il nome, ove ci eravamo dati appuntamento, mi ha consegnato la restante parte del prezzo. Io complessivamente ho avuto la somma di 19mila euro perché Vincenzo Sculco mi ha chiesto di poter trattenere mille euro della somma complessiva che avrei dovuto avere in quanto ne aveva bisogno, e io glielo ho concesso».
Cocaina e marijuana: i debiti e il delitto
Che il 27enne accettò di ricevere ma unicamente perchè in difficoltà economica: «La proposta che mi è stata fatta di commettere l’omicidio a pagamento è avvenuta perché Francesco, così come Vincenzo Sculco e Procopio Gregorio, sapevano delle mie difficoltà economiche, dovute sia all'andamento del bar che ho dovuto chiudere a Cerva, sia per l’acquisto di sostanza stupefacente che facevo, cocaina e marijuana. Le difficoltà economiche ce le avevano anche Vincenzo Sculco e Procopio Gregorio». «Sono amico d’infanzia di Vincenzo Sculco che ultimamente frequentavo recandomi presso il villaggio turistico Carioca a Botricello, dove mi vedevo sia con lui sia con Procopio Gregorio, anche se avevo maggiore confidenza con Vincenzo Sculco. In una di queste visite al villaggio Carioca, mentre mi trovavo con Vincenzo Sculco, si è avvicinava Procopio Gregorio insieme ad un’altra persona di nome Francesco, che avevo già visto altre volte in precedenza insieme a Gregorio Procopio presso il villaggio. Gregorio Procopio sapendo delle mie difficoltà economiche, mi ha riferito che Francesco voleva propormi di eseguire un omicidio. In effetti, Francesco insieme a Gregorio mi ha riferito che il suo datore di lavoro, cioè di Francesco intendeva vendicarsi nei confronti di una persona e mi ha chiesto se fossi disponibile a commettere un omicidio a pagamento per conto del datore di lavoro. Io gli ho subito manifestato la mia disponibilità e quel giorno stesso Francesco a bordo della sua Golf nera, ha portato me, Sculco Vincenzo e Procopio Gregorio, dal suo datore di lavoro».
L'officina e le "mura che colavano oro"
«Francesco ci ha condotto presso l’officina del suo datore di lavoro che si trova sulla statale 106 dopo la rotonda che segue l'hotel 106 in direzione Catanzaro Lido. Dopo circa 5 o 10 minuti Gregorio ci ha fatto segno dall’officina a me ed a Vincenzo Sculco di scendere dalla macchina dove attendevamo e di entrare. Giunti all’interno del locale, sia Gregorio che Francesco hanno presentato me e Vincenzo al titolare, che è un uomo dalla apparente età di oltre 60 anni del quale mi è stato detto anche il nome che in questo momento non ricordo. Nello specifico il titolare era vestito da meccanico, anzianotto, aveva i capelli tra il brizzolato e bianchi, non molto alto e nemmeno robusto. Questo signore parlando nell’occasione alla presenza mia, di Gregorio, di Francesco e di Vincenzo Sculco ha incominciato ad inveire contro i Rosso, padre e figlio, lamentando di essere stato picchiato e che intendeva vendicarsi. Ricordo nell’occasione un'espressione che ha utilizzato dicendo che se non fosse stato per loro, cioè i Rosso, “le sue mura colavano oro” lamentandosi di aver subito gravi danni. Quindi voleva vendicarsi uccidendo o il padre o il figlio. Nell'occasione il datore di lavoro di Francesco mi disse che aveva già provato tempo prima con un'altra persona a uccidere uno dei due Rosso che mi pare fosse il padre ma che in quel caso la vittima predestinata si era salvata perché l’arma, che mi pare fosse un fucile, si era inceppata. Mi disse sempre in quella occasione questa persona che il suo dipendente, Francesco, mi avrebbe indicato la vittima ed i possibili luoghi dove avrei potuto eseguire l’omicidio e mi avrebbe consegnato sia l’arma che il denaro che sarebbe consistito in un acconto di 5mila euro. lo in precedenza avevo appreso da Francesco che la somma che avrei ricevuto sarebbe stata complessivamente di 20mila euro ma che lui, Francesco, avrebbe tentato di ottenere una somma maggiore, accordandosi con il suo datore di lavoro, per poter guadagnare qualcosa anche lui stesso e Procopio Gregorio».
La pistola calibro 9
«Questo incontro è avvenuto almeno un mese prima del giorno dell'omicidio. Il giorno dopo dell'incontro Francesco a bordo della sua autovettura Golf, è venuto a Cerva verso le 18.00 nella mia abitazione. In quella occasione Francesco mi ha consegnato la pistola calibro 9 che io avrei utilizzato per l'omicidio e l’acconto di 5mila euro. Contestualmente alla consegna dell’acconto e della pistola mi disse che la somma complessiva che lui aveva pattuito con il suo datore di lavoro era di 30mila euro dei quali lui e Gregorio avrebbero trattenuto 10mila euro dividendoseli. Aggiungo che la sera dell’omicidio trascorrevo la notte al villaggio Carioca di Botricello. Prima ancora, consumato l’omicidio, appena rientrati al villaggio Carioca, io e i due Procopio Antonio e Gregorio, trovavamo lì Sculco ad attenderci. Sculco ed io andammo a nascondere la pistola nella pineta a ridosso della spiaggia del villaggio. Pineta alla quale si arriva da una stradina che si estende dall’interno dello stesso villaggio. Sculco ed io creammo una cavità nella sabbia e lì occultamimo la pistola».
Luana Costa
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