La giustizia terrena arriva fino in fondo. Nel Paese delle scarcerazioni facili e dei termini che scadono, anche in tempi ragionevoli. La Corte di Cassazione ha così confermato la condanna all’ergastolo per Antonio e Francesco Napoli, rispettivamente zio e nipote, e a 13 anni e 4 mesi di carcere per Domenico Napoli, figlio di Antonio.


Sentenza definitiva, quindi, per l’omicidio di Fabrizio Pioli, l’elettrauto di Gioia Tauro assassinato per la relazione sentimentale intrecciata con Simona Napoli, figlia, cugina e sorella dei tre imputati.

 

L’omicidio si consumò il 23 febbraio 2012 e destò orrore, riprovazione, mostrando una realtà, quella della Piana reggina, infettata da un senso perverso dell’onore, ancorato secondo un sentire arcaico. Fabrizio e Simona (già sposata e con figli), si erano conosciuti sui social. Una simpatia, poi l’amore. Iniziarono così una relazione pericolosa, stante il contesto. Una relazione che fu troncata dai familiari della donna. Fabrizio Pioli, per levare l’onta del disonore sulla famiglia, fu fatto sparire e i suoi resti ritrovati dopo oltre un anno, tra Rosarno e Melicucco.

 

Fondamentale, per accertare le responsabilità, la collaborazione di Simona Napoli alle indagini condotte in maniera impeccabile dai carabinieri. Chiarito il movente, acquisito un vasto compendio probatorio, chiuso il cerchio sugli assassini, l’accusa ha resto in primo grado, in appello e in Cassazione, malgrado per la propria difesa gli imputati avessero incaricato autentici principi del foro, da Franco Coppi a Giovanni Aricò, i professori del diritti, protagonisti di alcuni tra i processi più noti delle cronache italiane, che non hanno potuto evitare il carcere a vita per Antonio e Francesco Napoli e la condanna, comunque pesante visto il ruolo relativamente marginale assunto, per Domenico Napoli.