Sono passati due mesi esatti dall’omicidio dell’allevatore Fabio Giuseppe Gioffrè, ucciso nelle campagne di Seminara, nella piana di Gioia Tauro, proprio il 21 luglio scorso. La Dda di Reggio Calabria, insieme ai carabinieri del comando provinciale e del Gruppo gioiese, hanno chiuso in tempo record il cerchio sul delitto che ha visto anche il ferimento del bambino bulgaro di soli dieci anni. Per gli inquirenti è stato Domenico Fioramonte, 41 enne originario di Taurianova a ucciderlo. Insieme a lui sono finiti in manette anche Giuseppe Domenico Laganà Comandè e Saverio Rocco Santaiti, estranei all’omicidio ma, ritenuti responsabili di estorsione. Ed è proprio  alla pressanti richiesti estorsive che Fioramonte, gestore di un frantoio insieme ai familiari, si sarebbe ribellato facendosi giustizia da solo.  Per liberarsi dalla morsa dei clan di Seminara  avrebbe chiesto protezione alla cosca Grasso di Rosarno, legata al potente casato mafioso dei Bellocco ma, l’intromissione del Gioffrè, alias “siberia” ed elemento di spicco della ‘ndrangheta del luogo, ha generato la sua reazione omicida.

 

«Fioramonte non è uno ‘ndranghetista», ci tengono a precisare gli inquirenti. Ma non avrebbe esitato a chiedere protezione ai clan rosarnesi per divincolarsi dallo strapotere dei Santaiti così come non ha esitato a fare fuoco in pieno giorno e dinnanzi ad un minore. Così come non si  è rivolto alle forze dell’ordine quando nei mesi scorsi le ‘ndrine hanno dato fuoco alla proprietà di famiglia. «Siamo dinanzi ad un soggetto che non ha denunciato le richieste estorsive- ha dichiarato il comandante provinciale dei Carabinieri Giuseppe Battaglia- e che ha preferito affidarsi ad intermediari per risolvere la questione». A portare gli inquirenti sulla pista giusta sono state anche le risultanze investigative dell’operazione  “Ares”, che nel luglio scorso aveva visto finire in manette uomini e donne delle cosche Grasso e Cacciola di Rosarno. Le intercettazioni, agli atti dell’inchiesta “Ares”, coordinata dal procuratore aggiunto Gaetano Paci e dal pm antimafia Adriana Sciglio, hanno evidenziato come i Fioramonte si fossero rivolti a Rosario Grasso per cercare protezione dalle continue e pressanti pretese estorsive dei “Laganà” e dei “Santaiti”, che stavano “strozzando” l’attività imprenditoriale di famiglia e per cui oggi sono stati arrestati Giuseppe Domenico Laganà Comandè e Saverio Rocco Santaiti.

L'intromissione di Gioffè

Fabio Giuseppe Gioffrè deciderà «autonomamente» di recarsi dai Grasso ed esporre i contesti malavitosi in cui operavano i Santaiti. Qui la ‘ndrina rosarnese prenderà due strade perché da un lato chiesero di non vessare più i Fioramonte e dall’altro offrirono il loro appoggio per una eventuale reazione degli imprenditori allo strapotere dei clan di Seminara. I Santaiti però non intesero sentire ragioni in virtù della cosiddetta “tassa ambientale” che ogni proprietario di attività commerciale e imprenditoriali è costretto a pagare alla ‘ndrangheta. A questo punto i Grasso scoprirono la “carta” dei Bellocco per convincere i Santaiti a desistere dalle loro pretese. Ancora è da chiarire l’intervento attuato da Gioffrè ma quel che è certo, sostiene la Dda che anche lui nutriva «un personale interesse nella vicenda». Alcuni esponenti dei Fioramonti hanno riposto “fiducia” nella capacità di mediazione del Gioffrè, mentre altri apparivano infastiditi dalla sua intromissione. Un’ intromissione che gli costerà cara. La mattina dell’omicidio infatti, la vittima e il presunto assassino hanno discusso proprio al frantoio dei Fioramonte. Poco dopo i numerosi contatti telefonici fra Gioffrè e Domenico Fioramonti sono cessati e Gioffrè verrà ritrovato nelle campagne crivellato da colpi di arma da fuoco.  

Caccia al secondo killer

Ideatore ed esecutore materiale dell’omicidio di Gioffrè sarebbe quindi il 41enne originario di Taurianova ma la mattina del 21 luglio i killer di “siberia” erano due. Adesso le forze dell’ordine hanno assicurato che le indagini continueranno non solo per arrestare il secondo assassino ma, anche e soprattutto per approfondire i contesti mafiosi che hanno generato il suo omicidio di Gioffrè. Tanti ancora sono i punti interrogativi che necessitano una risposta. Non solo per far luce in maniera definitiva su questo efferato delitto ma, anche per «delirare i contesti estorsivi  e criminali», ha dichiarato il colonnello Battaglia» nella Piana di Gioia Tauro.

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