Arturo Bova e Antonio Lomonaco si appellano al procuratore generale affinchè proponga ricorso in Cassazione. Gli avvocati: «Confidiamo nell' operato della Procura»
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«Pur nella doverosa cautela che merita, anche sotto il profilo umano, la vicenda oramai tristemente nota come l’omicidio dei giardinetti di San Leonardo, cui in queste ore si è data ampia diffusione mediatica in ragione del deposito delle motivazioni della seconda sentenza di condanna e malgrado si resti consapevoli che il dolore generato dai tristi eventi imporrebbe il più doveroso silenzio nel rispetto di tutte le parti, si è costretti a divulgare questa breve nota chiarificatrice, tanto al fine di ristabilire la memoria di chi non ha più voce per difendersi, quanto per evitare inutili strumentalizzazioni». Così scrivono in una nota gli avvocati del foro di Catanzaro, Artuto Bova e Antonio Lomonaco, rappresentanti delle parti civili nel processo a carico di Nicolas Sia, condannato a sedici anni di reclusione per l’omicidio di Marco Gentile. I due legali difendono Anna e Loredana Curto, rispettivamente madre e zia di Marco Gentile.
«Nel passare in rassegna le dichiarazioni testimoniali – spiegano i due legali - rese dai più stretti congiunti dell’omicida, la sentenza emessa dalla Corte di Assise di Appello di Catanzaro decide di valorizzarle al punto tale da ritenerle idonee per affermare che Nicolas Sia fosse vittima di “azioni vessatorie da parte del gruppo, al cui interno vi era anche il Gentile”, in sostanza così escludendo l’aggravante dei “futili motivi”. Tali motivazioni si pongono tuttavia in netto contrasto con quanto affermato nella prima Sentenza di condanna, allorquando pur dando atto della ricorrenza di “uno spaccato di disagio sociale dell’omicida”, il giudice osservava ancora come “i diretti protagonisti non hanno fatto riferimento a specifici episodi di vero e proprio bullismo”».
«In altri termini, il primo giudice - continuano Bova e Lomonaco - “bollava” le dichiarazioni raccolte nell’ambito del ristretto nucleo familiare dell’omicida come “generiche” e mai risolutive per poter affermare che fosse stato proprio il povero Marco a porre in essere gli eventuali atti prevaricatori in danno dell’omicida. Sul punto, si badi bene inoltre che costoro non sono mai stati sentiti in Tribunale nel contraddittorio tra le parti. Allo stato si registrano quindi due decisioni di condanna che, muovendo da premesse diametralmente opposte, contengono un netto contrasto che potrà essere sanato solo dalla Suprema Corte di Cassazione». «Purtroppo il codice non prevede la possibilità per le parti civili - concludono - giacché portatori di interessi privati, di entrare nel merito di siffatte valutazioni, pur tuttavia si confida nell’ottimo operato del Procuratore Generale, unico e solo deputato a ricorrere ad un eventuale mezzo di impugnazione, affinché dia seguito alla propria sapiente requisitoria, allorquando con voce ferma chiese alla Corte di Assise di Appello di non concedere all’omicida alcuno sconto di pena in ragione della gravità dei fatti contestati, siccome meritevoli della pena dell’ergastolo».
l.c.