Le lungaggini della giustizia, in un caso di omicidio, diventano, per chi le vive, attese infinite cariche di angoscia, in cui il dolore si rinnova e non trova conforto nel raggiungimento della verità. E’ quello che accade, da sei anni, ai familiari di Nicola Colloca.

 

L’infermiere venne trovato privo di vita la notte del 26 settembre 2010 in una zona di campagna tra Pizzo e Maierato, nel Vibonese. Il corpo dato alle fiamme all’interno di un’auto. All’inizio, la vicenda venne liquidata come suicidio, ma troppi erano i punti oscuri e le incongruenze. I familiari lottarono per mesi perché si arrivasse riesumazione del corpo.

 

Dall’esame risulterà ciò che avevano sempre sospettato. Nicola è stato ucciso, colpito con un oggetto contundente che gli ha provocato una grave lesione al cranio e successivamente caricato a bordo dell’auto e bruciato, forse nel tentativo di distruggere ogni prova.  Da quel momento, le indagini sembrano al punto di svolta. Il delitto sarebbe maturato in ambito familiare. Gli inquirenti si dicono sicuri della dinamica e dei soggetti coinvolti, ma non succede niente.

 

Falsi arrivi che illudono i familiari già provati dal lutto, trascinandoli in un’attesa senza fine. Che ora sono pronti a tutto pur di raggiungere la verità. E che ora hanno presentato la loro istanza al Presidente della Repubblica, al Ministero di Grazia e Giustizia e al Csm.

l. c.