«Vengo qui da 17 anni e verrò ancora finchè vivrò, perché sto rispondendo ad un imperativo morale minacciando gli omertosi». Al cimitero di Locri davanti alla tomba di Massimiliano Carbone, l’imprenditore ucciso nel 2004 in un agguato sotto casa al ritorno da una partita di calcetto, c’è una bandiera dell’Inter, di cui era grande tifoso, e fiori freschi. A portarli è mamma Liliana, maestra elementare in pensione diventata simbolo della lotta alla mafia, mai rassegnata all’idea di non conoscere il killer di suo figlio.

Il giovane aveva avuto una relazione con una donna sposata, da cui nacque un bambino, oggi 22enne. Il caso venne archiviato dalla Procura nell’ottobre 2007 per mancanza di indizi e quel delitto oggi rimane ancora un “cold case”. «La verità giudiziaria sull’omicidio di mio figlio oggi non c’è – dice Liliana Carbone - Io non so se la scaturigine del delitto sia la sua impertinente paternità, mio figlio aveva 23 anni quando è diventato padre, mettiamoci d’accordo».

Oggi nell’anniversario della scomparsa a Sant’Ilario dello Jonio verrà celebrata una messa nel ricordo dell’imprenditore. «Sicuramente molti oggi sono addolorati per una vita spezzata così – è lo sfogo della donna - Ma quanti se ne vergognano di questa giustizia negata? La giustizia non è per me. Siamo stanchi, abbiamo subìto di tutto. E nonostante tutto continuerò a venire qui finchè sarò in vita».