«La sera in cui venne a mancare, era arrivato ad un certo punto del suo percorso: che cosa avrebbe fatto l’indomani, il 13, Santa Lucia del 1995, se il comandante fosse rimasto vivo? Chi doveva incontrare? Per quale motivo era partito da Reggio Calabria in direzione La Spezia? Il punto in cui si interrompe l’indagine del comandante De Grazia potrebbe essere il punto di partenza di questo nuovo filone d’inchiesta che ci porta stranamente lontano dal mare, dalle coste e dalle navi. Ci porta in altri lidi, ci porta in altre zone che stiamo cercando piano piano di battere per capire qual è il nesso causale della scomparsa del comandante De Grazia e dell’affondamento delle navi».

Il ministro e il procuratore

Roma, via Cristoforo Colombo 44, Ministero dell’Ambiente, sesto piano. L’ammiraglio Aurelio Caligiore è il capo del Ram, ovvero il Reparto ambientale marino del Corpo delle Capitanerie di Porto, l’uomo dello Stato sul quale puntano il ministro dell’Ambiente Sergio Costa e il procuratore capo di Catanzaro Nicola Gratteri per tentare di far luce su due grandi misteri della Repubblica: la morte del capitano di fregata Natale De Grazia e l’affondamento di un numero imprecisato di navi che nel loro ventre avrebbero trasportato rifiuti radioattivi (o comunque tossici) trasformando il Mediterraneo in una tomba di veleni

Il ministro ha stanziato un milione di euro per nuove indagini tecniche sui relitti sospettati di custodire gli scarti nucleari, la Direzione distrettuale antimafia di Catanzaro, invece, vuol comprendere se esistono o meno le condizioni per restituire verità, ma soprattutto giustizia, ai misteri che - malgrado le indagini esperite in passato dalle Procure di Nocera Inferiore, Salerno, La Spezia e, soprattutto, Reggio Calabria e Catanzaro, oltre che dalla Commissione parlamentare d’inchiesta sul ciclo dei rifiuti - continuano ad aleggiare sulla morte del comandante De Grazia e le navi a perdere.

L’omicidio non si prescrive

L’ammiraglio Caligiore è un ufficiale pluridecorato: all’estero protagonista di diverse missioni umanitarie e di peacekeeping, in Italia una sorta di testa di cuoio nella tutela del mare e dell’ambiente. Oggi affronta quella che potrebbe profilarsi come la più grande sfida della sua prestigiosa carriera. Ne parla con cautela e raziocinio, ma anche con un profondo coinvolgimento emotivo: De Grazia è soprattutto «il collega», che «amava il mare e serviva lo Stato». Fosse rimasto in vita - spiega l’ammiraglio - «praticamente avremmo avuto la stessa età».

Il percorso, per l’alto ufficiale in divisa bianca ed i suoi 007 del mare chiamati ad indagare su misteri lunghi quasi quarant’anni, è in salita. «Tutti quei reati - evidenzia Aurelio Caligiore - sono in prescrizione ormai da anni. L’unico reato non prescrivibile, ed è quello sul quale si spera di avere un riscontro oggettivo, è l’omicidio». E così, oggi più di ieri, la morte di Natale De Grazia diventa la chiave per scardinare anche i segreti di una tra le pagine più controverse della storia italiana recente.

Storia, non più cronaca

«Se si trovasse - dice l’ammiraglio - un filone d’indagine che ci conducesse ai mandanti o a chi di fatto, materialmente, si adoperò per commettere quell’atroce crimine ci darebbe ancora l’opportunità di arrivare ad un processo. Ma tutto quello che era il traffico d’armi, traffico di rifiuti, passati ormai venticinque anni, sono ormai storia, non è più cronaca». Insomma, si può anche risalire ad una verità storica, ma è necessario ricominciare da quella giudiziaria, quindi si deve invertire l’ordine: «Non possiamo ripartire da una nave affondata, com’è stato finora. Finora abbiamo inseguito relitti, i luoghi dell’affondamento, piste, abbiamo sentito collaboratori di giustizia. Quello che, invece, stiamo tentando di fare adesso, come Reparto ambientale marino, è seguire altri percorsi. Siamo sostenuti dal ministro Costa che, va ricordato, ha dato nuova enfasi a tutta la storia delle navi dei veleni e del comandante De Grazia». 

Conferma, l’ammiraglio Caligiore, anche il conferimento di una delega che il suo ufficio ha ricevuto dalla Direzione distrettuale antimafia di Catanzaro. Un mandato risalente a mesi addietro e rispetto al quale il Reparto ambientale marino della Corpo delle Capitanerie di porto potrebbe consegnare le sue prime conclusioni già a fine gennaio. Sul punto, però, l’ufficiale è telegrafico: «Abbiamo avuto una delega d’indagine, stiamo sviluppando, però dal procuratore non si va a raccontare fatti se non c’è un riscontro oggettivo».

La Commissione ecomafie

Caligiore è stato anche consulente della Commissione ecomafie che - relatori i due ex presidenti Gaetano Pecorella e Alessandro Bratti - ha indagato sulla morte del comandante De Grazia, realizzando un’attività di inchiesta che ha messo a nudo ulteriori zone d’ombra, redigendo una relazione che rappresenta un punto di partenza fondamentale, quantomeno nella ricostruzione fattuale del contesto sul quale oggi s’innestano nuove indagini. La commissione Pecorella-Bratti tenne sotto torchio numerosi testimoni, «auditi - ricorda l’ammiraglio - a volte più volte ed in periodi diversi. E c’è una pluralità di soggetti che ha destato più di un sospetto, però - aggiunge - dal sospetto, dalla percezione che qualcosa non va a dire che avrebbero avuto una parte in causa o che avrebbero avuto un ruolo in quella morte o di quegli affondamenti, è un azzardo che non mi sento di fare». 

Cosa dentro quelle stive?

E proprio a proposito delle sospette navi dei veleni: al di là della eventuale prescrizione dei reati che astrattamente potevano essere contestati, cosa ne pensa il numero uno del Ram? Condivide l’assunto di Legambiente, che con il suo esposto del 2 marzo 1994 fece scattare l’indagine della Procura di Reggio Calabria delegata al comandante De Grazia? «Seguendo un ragionamento logico - replica - se una nave che affonda senza neppure che fosse lanciato un sos, come avvenne per la Rigel, in un fondale non inferiore a 500-600 metri, è normale che si ha tutta l’intenzione di farla sparire. Perché andare a fare il recupero di un relitto a quelle profondità è un’impresa non solo complessa ma anche assai dispendiosa. È chiaro che uno dice “Ma fu fatta affondare di proposito”. Ma che cosa c’era dentro le stive di quella nave? Resta tutto avvolto nel mistero». Un mistero che non può essere diradato se non riemerge un relitto con le sue scorie nucleari o non si riesca a dare una svolta giudiziaria su «l’unico reato non prescrivibile, l’omicidio».

Dicembre 1995, Nocera inferiore

Natale De Grazia spirò a Nocera Inferiore, nella notte tra il 12 e il 13 dicembre 1995, dopo una cena consumata in una trattoria a pochi chilometri dallo svincolo di Salerno. Il comandante era con due carabinieri del Reparto operativo di Reggio che facevano parte del pool di investigatori coordinato dal pm Francesco Neri, Niccolò Moschitta e Rosario Francaviglia, il pasto a tarda ora nel ristorante vuoto: fusilli al sugo in forno, mozzarella e affettati per tutti, bruschette, limoncello… Il comandante fu il solo ad ordinare una fetta di dolce e si addormentò subito, in auto, alla ripresa del viaggio. Dopo la mezzanotte, sotto una pioggia battente, appena superato il casello autostradale ed una galleria, i colleghi si accorsero che non respirava più. Inutili i tentativi di rianimazione e l’arrivo di un’ambulanza, dopo venti minuti dalla chiamata.

Subito seppellito il corpo di De Grazia, seguirono due riesumazioni in due anni, per perizie autoptiche e tossicologiche affidate allo stesso medico legale. Si tratta di Simona Del Vecchio, che lo scorso febbraio ha patteggiato una pena a 2 anni e 11 mesi, davanti alla Corte d’Appello di Genova: per diversi anni della sua carriera ad Imperia avrebbe condotto numerosissime «autopsie fantasma», redigendo referti e relazioni su cadaveri che non avrebbe neppure ispezionato.

Carte rosicchiate dai topi

Dunque, dicevamo, De Grazia spirò a Nocera Inferiore. Sarebbe di questa Procura la competenza, oppure Salerno. Perché allora una delega da Catanzaro? «Non è un fatto di giurisdizione territoriale, ma è un fatto legato alla tipologia del reato. È una giurisdizione per materia. E qui mi fermo…», chiosa l’ammiraglio Caligiore, che rivolge altresì un appello: «Uomini dello Stato in servizio in quegli anni o anche semplici cittadini che pensano di avere informazioni utili al lavoro che stiamo cercando di portare avanti, mi contatti, mi invii una mail, il mio indirizzo è facilmente reperibile sul web, possiamo anche incontrarci, cosa che abbiamo già fatto anche in questi mesi. Abbiamo bisogno anche di questo, perché noi stiamo cercando dati e informazioni su archivi morti e sepolti negli anni ’90 dove c’è materiale cartaceo rosicato dai topi o inverdito dall’umidità, anche questo è un elemento da considerare nella complessità delle indagini».