La pandemia di Covid-19 rappresenta una "grande opportunità" per le mafie e lo snellimento delle procedure d'affidamento degli appalti e dei servizi pubblici comporterà «seri rischi di infiltrazione mafiosa dell'economia legale, specie nel settore sanitario». È poi "oltremodo probabile" che i clan tentino di intercettare i finanziamenti per le grandi opere e la riconversione alla green economy. L'allarme è contenuto nell'ultima Relazione semestrale della Direzione investigativa antimafia (Dia), che evidenzia seri rischi di infiltrazione e la crescita di riciclaggio e corruzione.

Aumenta riciclaggio e scambio di voti

Le indagini raccontano di una criminalità organizzata che durante il lockdown ha continuato ad agire sottotraccia, con un calo delle "attività criminali di primo livello" (traffico di droga, estorsioni, ricettazione, rapine), ma un aumento al Nord ed al Centro dei casi di riciclaggio e, al Sud, i casi di scambio elettorale politico-mafioso e di corruzione. Stabile l'usura, fattore sintomatico di una pressione "indiretta" comunque esercitata sul territorio. Si tratta, segnala la Dia, «di segnali embrionali che, però, impongono alle Istituzioni di tenere alta l'attenzione soprattutto sulle possibili infiltrazioni negli Enti locali e sulle ingenti risorse destinate al rilancio dell'economia del Paese».

L’assistenza a famiglie e imprese in crisi

Sono cresciute anche le segnalazioni di operazioni sospette (Sos) pervenute alla Direzione rispetto allo stesso periodo del 2019. Un dato, viene sottolineato, «indicativo se si considera il blocco delle attività commerciali e produttive determinato dall'emergenza Covid della scorsa primavera». La disponibilità di liquidità delle cosche punta ad incrementare il consenso sociale anche attraverso forme di assistenzialismo a privati e imprese in difficoltà, con il rischio che le attività imprenditoriali medio-piccole «possano essere fagocitate nel medio tempo dalla criminalità, diventando strumento per riciclare e reimpiegare capitali illeciti».

Le mani dei clan sulle ditte in difficoltà

Diventa pertanto fondamentale, si legge nella Relazione, «intercettare i segnali con i quali le organizzazioni mafiose punteranno, da un lato, a 'rilevare' le imprese in difficoltà finanziaria, esercitando il welfare criminale ed avvalendosi dei capitali illecitamente conseguiti mediante i classici traffici illegali; dall'altro, a drenare le risorse che verranno stanziate per il rilancio del Paese».
Da Nord a Sud, infatti, il comune denominatore delle strategie mafiose, in questo periodo più di altri, pare collegato alla capacità di operare in forma imprenditoriale per rapportarsi sia con la Pubblica Amministrazione, sia con i privati. Nel primo caso per acquisire appalti e commesse pubbliche, nel secondo per rafforzare la propria presenza in determinati settori economici scardinando o rilevando imprese concorrenti o in difficoltà finanziaria. La Dia parla di «propensione per gli affari che passa attraverso una mimetizzazione attuata mediante il "volto pulito" di imprenditori e liberi professionisti attraverso i quali la mafia si presenta alla pubblica amministrazione adottando una modalità d'azione silente che non desta allarme sociale».

Il clima di omertà sta svanendo

La 'ndrangheta sta perdendo la sua caratteristica di organizzazione monolitica ed impermeabile a fenomeni come i la collaboratori con la giustizia di affiliati e imprenditori e commercianti taglieggiati e costretti in precedenza all'omertà. «Un numero sempre maggiore di collaborazioni con la giustizia di soggetti appena tratti in arresto per vari reati - indicano gli investigatori - sta frantumando quel clima di omertà e di impenetrabilità che aveva contraddistinto questa organizzazione mafiosa, realtà sempre più percepita dei cittadini che, in numero ormai significativo, stanno decidendo di collaborare alle indagini testimoniando il loro assoggettamento alle estorsioni mafiose».

Traffico di droga

La 'ndrangheta mantiene comunque saldamente la propria leadership nei grandi traffici di droga, continuando ad acquisire forza e potere. L'emergenza pandemica, nota la Dia, «non ha in alcun modo rallentato il florido mercato del traffico internazionale di stupefacenti destinati anche alle piazze di spaccio».
Ma uno dei punti di forza dell'organizzazione sta «nella sua capacità di intrecciare legami diretti e collaborazioni criminali con qualsiasi tipo di interlocutore: politici, esponenti delle Istituzioni, imprenditori, professionisti». Si tratta, evidenzia la Relazione, «di soggetti potenzialmente in grado di venire incontro alle esigenze delle cosche, sicché da ottenere indebiti vantaggi nella concessione di appalti e commesse pubbliche». Si conferma poi la presenza delle cosche in numerosi regioni - in tutto il Nord, dalla Valle d'Aosta al Trentino Alto Adige - e all'estero, nonché in Europa (dalla Spagna alla Francia, dalla Germania al Regno Unito) e America.

Sanità a rischio

Nonostante l'economia italiana abbia subito un rallentamento di circa il 10% del prodotto interno lordo, nel primo semestre del 2020 le segnalazioni per operazioni sospette sono aumentate del 30%. L'allarme arriva dal direttore della Dia Maurizio Vallone secondo il quale il rischio concreto è che molte aziende finiscano in mano alle mafie. «Si tratta di un aumento molto strano - sottolinea Vallone in occasione della presentazione della Relazione semestrale al Parlamento - perché significa che sta girando molto più denaro di quel che sarebbe logico aspettarsi, con l'economia che si sta spostando dall'economia del fare a quella finanziaria». E chi può far girare molto denaro in questo momento sono le organizzazioni criminali. «il grave rischio che si corre è che ci ritroveremo tra qualche anno con la criminalità organizzata che avrà in mano aziende di medie e grandi dimensioni. Ma a quel punto sarà impossibile ricostruire il percorso del denaro».

L'usura

Il settore più a rischio, in periodo di emergenza pandemia, è ovviamente quello sanitario. «Le mafie - spiega il direttore della Dia - si muovono lì dove ci sono i soldi e in questo momento i soldi sono nella sanità». L'attenzione è in particolare sulla 'ndrangheta, «che ha maggiore liquidità e grandi capitali: prima investivano in fondi esteri, ora potrebbero investire in casa, basta solo trovare l'aggancio giusto». Per questo Vallone ha chiesto ai centri in tutta Italia «di prestare la massima attenzione. E siamo sicuri che tra qualche mese avremo indicazioni interessanti su cui sviluppare le indagini».

L'altro aspetto evidenziato dalla Relazione è quello relativo all'usura. C'è infatti un aumento del fenomeno. «È sicuro - dice Vallone - che le organizzazioni criminali si stanno sostituendo alle organizzazioni del credito. Ci sono interi settori in crisi, a partire da commercianti, ristoratori, albergatori ma anche titolari di b&b e piccole strutture. Quando non c'è credito, tutti questi soggetti sono costretti a rivolgersi alla criminalità organizzata, con le mafie che entrano come soci di minoranza nel capitale sociale e presto o tardi estrometteranno tutti gli altri». Quello della liquidità, conclude Vallone, «è un problema serio».

Nuova visione sulle interdittive antimafia

Un «controllo amministrativo preventivo» da parte dei prefetti, non sulle imprese che partecipano ai bandi ma sull'appalto stesso. Con l'arrivo dei fondi del Recovery la Direzione investigativa antimafia lancia una proposta per evitare che gli infiniti ricorsi blocchino le gare e allo stesso tempo garantire allo Stato uno strumento concreto per monitorare possibili infiltrazioni mafiose. A spiegarla è il direttore della Dia Maurizio Vallone, una lunga esperienza nella lotta alle mafie, da quella al clan dei casalesi fino a quella alle 'ndrine da questore di Reggio Calabria.

«Uno dei grandi problemi delle interdittive antimafia - argomenta Vallone - sta nel fatto che se l'impresa viene esclusa dall'appalto, o si aspettano le decisioni dei tribunali amministrativi, ritardando di anni la realizzazione delle opere, una scelta grave e che lo sarebbe ancora di più in una situazione di pandemia, oppure si assegna la gara alla seconda classificata, aprendo però la strada a contenziosi milionari se la ditta esclusa dovesse vincere». Come se ne esce dunque? La soluzione avanzata dalla Dia è quella di utilizzare l'articolo 34 bis del Codice antimafia, con la differenza che il controllo spetterebbe ai prefetti e non sarebbe sull'impresa quanto sull'appalto. «Sulla base del 34 bis, quando un tribunale ritiene che ci siano elementi da approfondire - spiega ancora Vallone - anziché interdire la ditta, si stabilisce un controllo giudiziario per sei mesi nei quali l'impresa continua ad esercitare nel pieno delle sue funzioni, ma deve rendere conto al delegato del tribunale di ogni sua operazione. Invece, in via amministrativa, per similitudine, il prefetto potrebbe rilasciare la certificazione antimafia operando, però, un controllo su tutto l'appalto, conto corrente unico, elenco fornitori e subappaltatori. Il controllo termina alla conclusione dell'appalto».

Così facendo, è la conclusione del direttore della Dia, «lo Stato ha la sicurezza del controllo dell'appalto, un controllo leggero e non invasivo. Ma se dobbiamo velocizzare le procedure non possiamo tenere bloccati gli appalti, servono strumenti veloci e speditivi ma che garantiscono l'impermeabilità dell'appalto a fronte degli appetiti criminali».