I funerali del diciassettenne di Vibo Marina deceduto a causa di un incidente in moto hanno sollevato enorme commozione e l'immedesimazione di chi ha figli adolescenti
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Stipati nella chiesa di Vibo Marina o, fuori, sulla gradinata e giù fino a saturare il più piccolo angolo dello spiazzo lastricato. E poi, ancora, a perdita d’occhio lungo il marciapiedi di fronte. Eravamo tutti madri, padri, amici, compagni di Federico, deceduto in seguito alle ferite riportate in un grave incidente una settimana fa.
Tutti lì, attoniti, con gli occhi gonfi e il cuore pesante. Tutti lì, a porgere l’ultimo saluto a Fede, strappato per forza alla vita, ai suoi sogni, alle sue passioni. E sì, perché ci sono poche cose in grado di generare un così profondo e sincero senso di immedesimazione come la morte insensata di un ragazzo di 17 anni, con tutto il futuro davanti ancora da raccogliere a piene mani.
E invece no. Stop. Fine. In una giornata come tante altre e come tante altre ce ne sarebbero state ancora se… se… e se… È perverso e crudele il gioco dei se. Inutilmente crudele. Perché Federico in quell’attimo fatale stava semplicemente vivendo la sua vita di adolescente. Spericolato come tutti gli adolescenti, pervaso da quel prepotente senso di invulnerabilità tipico di quell’età. Era appena uscito da scuola e stava tornando a casa in moto. All’improvviso il buio più nero, definitivo, a cancellare per sempre i colori accesi della sua giovinezza. A mandare in frantumi il cuore e l’esistenza dei suoi genitori.
Una storia, la sua, che tocca ognuno di noi, che ci costringe a fare i conti con le nostre paure più intime. Il timore che un terribile attimo possa cambiare irreversibilmente le nostre vite, strappandoci le persone più care e con esse un pezzo di cuore.
Chiunque ieri fosse stato lì, parte di un enorme groviglio di commozione ed incredulità, non ha potuto fare a meno di cercare furtivamente con lo sguardo il proprio figlio, pensando con angoscia a quanto sia caduca e preziosa la vita. E loro, i ragazzi, fragili e smarriti a cercare conforto gli uni negli altri. Costretti per la prima volta a piangere un coetaneo, un amico che non c’è più. A fare i conti con l’enormità di una perdita inconcepibile fino a poco prima.
Ieri, quei ragazzi hanno lasciato sul campo della vita un pezzetto della loro spensieratezza. Ieri, i nostri ragazzi sono diventati più grandi nel dolore della perdita.
Ciao Federico, vola leggero come le centinaia di palloncini bianchi lanciati per te nel cielo terso di un’estate prepotente che non vuole arrendersi all’autunno, in questo triste giorno dell’addio.
Anita Ruffa