Antonio Napoli è il primo di 3 figli. Ha 40 anni e fino a 25 anni ha vissuto nella sua Albidona, paesino in collina di 1300 anime. Siamo nell’Alto Jonio cosentino.

«Sono cresciuto in una splendida famiglia composta da papà Vincenzo, mamma Maria Francesca detta Franca e i miei due fratelli Domenico e Davide. Ho vissuto in Calabria sin dalla nascita, qui ho effettuato i miei studi, fino agli anni della università. Dopo la mia parentesi universitaria, mi sono trasferito al Nord Italia, più precisamente a Milano dove ho iniziato la mia attività di agente finanziario».

A Milano Antonio inizialmente ho coabitato con i parenti.
«Sì, con mio fratello e i miei cugini, all’epoca studenti universitari. Da subito ho trovato lavoro come agente finanziario, esperienza lavorativa durata 3 anni».

Antonio è impegnato su più fronti.
«Oltre alla mia attività lavorativa, sono appassionato di politica e cultura in generale, sono componente di una associazione di promozione politica e culturale, in un paese limitrofo a quello in cui vivo attualmente (Varedo MB), ed è notizia freschissima, quella della mia elezione a presidente della stessa associazione. In più ho deciso l’anno scorso di proseguire i miei studi accademici, in Unitelma Sapienza, dove da gennaio 2023 ricopro il ruolo, per me molto motivante, di rappresentante degli studenti in seno al Senato accademico».

Tanti impegni, tanto lavoro, tanta voglia di fare.
«Qualsiasi cosa faccio, dal lavoro, al Senato accademico, alla associazione, per me riveste un ruolo importante. Sono dell’idea che bisogna dare sempre importanza a quello che si può fare, per poi farlo nel migliore dei modi».

C’è stato qualcosa che ha provocato maggiori emozioni in Antonio.
«Sono stato impegnato come tutti i colleghi sanitari nella pandemia di Covid che ha interessato la nostra nazione. Devo dire, da come si poteva in parte vedere in tv che è stata, soprattutto da noi in Lombardia, devastante. Ho ricordi indelebili di quei momenti ma ciò che mi ha dato la soddisfazione più grande è stata una frase di mio figlio che all’epoca aveva 5 anni, che al ritorno da un turno devastante dove come sempre le nostre emozioni era messe a dura prova, vedendomi piangere, perché è vero crollavamo anche noi, mi ha detto: Papà perché piangi, tu non devi farlo se no come fai a guarire quelli che soffrono? Ecco è stato il momento in cui ho capito che se un bambino di 5 anni mi stava dicendo questo il mio lavoro non è stato invano».

I progetti di Antonio.

«Visitare i paesi del Sud America, mi intriga la loro cultura e, il loro modo di vivere, e vedere e conoscere come è avvenuta l’integrazione dei nostri calabresi durante le ondate migratorie post seconda guerra mondiale».

I primi tempi del trasferimento al nord non sono stati certamente facili.

«La partenza dalla stazione di Trebisacce il 31 gennaio del 2009, e come dimenticarlo? con il fu Crotone-Milano, è stato il momento più duro, penso di tutta la mia vita. Appena salito sul treno guardai dal finestrino e vidi mio padre piangere. Insolito vedere un papà piangere… e subito arrivo un sms sul mio telefono con scritto “Buona fortuna Figlio Mio”! Ecco, lì ho capito davvero che stavo lasciando quanto di più caro io potessi avere e desiderare: la mia famiglia nativa, la mia terra, che come dice il grande Modugno, “Amara e Bella”, per “cercare fortuna” proprio come hanno fatto i miei nonni».

Lasciare la propria terra è davvero triste. Lasciare la Calabria lo è ancora di più.

«Devo essere sincero, anche ultimamente ci sono momenti in cui mi pento di esser venuto via dalla mia/nostra Calabria, ma nello stesso tempo provo rammarico. Il rammarico per una terra che può dare tanto, che offre paesaggi, clima, tradizioni che tanti ci invidiano, di cui tanti sono alla ricerca, e spesso noi calabresi che li abbiamo non li sappiamo apprezzare».

Cosa rimane dentro della terra di chi parte?

«Delle mia terra mi porto tutto dentro, la mia casa, la mia Albidona… che hanno un posto veramente speciale nel mio cuore. Come dimenticare gli odori dei camini fumanti, i profumi delle più antiche tradizioni culinarie, l’affetto del vicinato. Ancora ricordo indelebilmente le anziane sedute davanti alle porte delle loro abitazioni a raccontarci storie di tempi passati. Ecco tutto questo, mi manca, e con esso manca quel senso di focolare che sa scaldare il cuore. E come dico sempre come fai a spigare queste mancanze a chi questo non lo ha vissuto?»

Forse Antonio pensa di ritornare un giorno.

«Ero di una idea diversa fino a qualche anno fa, ma ora non lo escludo più!».

La Calabria vista da lontano. Con tutti i suoi difetti.

«Della Calabria cambierei poco, c’è certamente da migliorare tanto, dal punto di vista infrastrutturale, e sono necessari maggiori collegamenti ferroviari e aeroportuali, con le maggiori città del centro nord Italia. Ma la piaga maggiore è la sanità, per lo più quella territoriale e di prossimità, ma qui andremo a toccare temi politici che non è il momento di toccare. I calabresi sono delle persone meravigliose, ma io mi e gli dico: amiamo di più la nostra terra, cerchiamo insieme di far sì che la nostra amata Calabria sia valorizzata per le cose belle che ha, per tutto il buono che c’è».