Una lettera pubblicata sul Corriere di Torino annunciava nel febbraio 2021 la decisione del broker di collaborare con la giustizia. Seguirono chat infuocate e smentite con tanto di minacce di uccidere l’avvocato che aveva divulgato il testo. Poi l’arresto e la scelta di saltare il fosso per davvero nel 2024
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Per qualcuno il pentimento del broker internazionale della cocaina Vincenzo Pasquino è stato un déjà vu. Chiedere per conferma agli uomini del clan di Guardavalle arrestati nell’inchiesta della Dda di Catanzaro che ha portato a 44 misure cautelari nei giorni scorsi.
Correva l’anno 2021 e il mese era febbraio: all’epoca Pasquino era latitante e, stando agli atti dell’indagine Ostro, riceveva denaro proprio dalla cosca Gallace per sostenersi e pagare l’avvocato. Ordinarie preoccupazioni di una vita di ’ndrangheta. Il 10 di quel mese, un articolo arriva a turbare gli animi dei suoi finanziatori: lo pubblica il Corriere di Torino che paventa l’adesione del narcotrafficante al programma di protezione per i collaboratori di giustizia. Ora che Pasquino è davvero un pentito quella notizia sembra una premonizione, all’epoca deflagrò come una bomba per i suoi compari vicini e lontani. Quelli lontani (in Calabria, mentre Pasquino si trovava in Brasile) erano proprio Gallace&Co: alla pubblicazione di quell’articolo, le chat tenute d’occhio dagli investigatori impazziscono.
Il falso pentimento di Pasquino e le smentite del narcotrafficante
Il Corriere di Torino dava conto di un virgolettato in cui Pasquino annunciava la volontà di confessare tutto ciò che sapeva sui traffici dal Sudamerica all’Italia pur di evitare le carceri brasiliane. L’articolo citava anche una lettera depositata dall’avvocato del broker per rendere nota la volontà di saltare il fosso.
Sull’asse Calabria-Brasile le linee diventano roventi: i presunti esponenti del clan di Guardavalle chiedono conto a Pasquino di quelle informazioni e lui nega tutto: dice di non aver alcun contatto con l’avvocato né di avere intenzione di pentirsi.
Cerca di fornire prove ai suoi interlocutori: allega addirittura gli screenshot di alcune chat in cui si propone di “scannare” la sua famiglia qualora avesse partecipato a quello che definisce un tentativo goffo di infangare il suo “onore” criminale. In una delle conversazioni inoltrate agli amici calabresi, intrattenuta con tale Ghost, chiede al suo interlocutore di uccidere l’avvocato o di ferirlo gravemente, firmando il gesto con il suo nome e cognome per lavare l’onta di quella lettera che lo aveva messo in cattiva luca. Propositi così spinti che Domenico Vitale (classe ’76), uno dei suoi amici sulla costa jonica del Catanzarese, cerca di frenarlo: meglio tenerselo buono l’avvocato, proprio per individuare l’autore della lettera pubblicata.
Pasquino pentito? Panico nel clan Gallace
I presunti membri del clan calabrese sono preoccupati: il più anziano dei due Domenico Vitale (nato nel 1969) coinvolti cerca di stimolare un contatto con la famiglia del latitante. Il boss Cosimo Damiano Gallace inoltra l’articolo un po’ a tutti, preoccupatissimo dall’ipotesi del pentimento.
Anche Pasquino è preoccupato: lo confessa in una serie di messaggi. Teme che quella lettera renda i suoi spostamenti tra Brasile e Bolivia individuabili. La famiglia (uno zio) del narcotrafficante garantisce sulla sua tenuta ma non basta a contenere la paranoia del clan. Il 2 marzo Pasquino revoca il proprio legale ma resta il rumore di fondo per quell’articolo, per il rischio del pentimento e per le sue conseguenze. Caos calmo: fino al 24 maggio 2021 Pasquino rimane uno dei latitanti più ricercati. Poi arriva l’arresto: il broker viene beccato in un residence assieme all’altra primula rossa Rocco Morabito.
Seguono tre anni in un carcere brasiliano e l’estradizione in Italia nel marzo 2024. Déjà vu, dicevamo: il 7 maggio 2024 Vincenzo Pasquino inizia davvero a collaborare con la giustizia. Le sue dichiarazioni, depositate nel processo Eureka, fanno tremare le cosche calabresi e i trafficanti di droga di mezzo mondo. Il primo memoriale depositato è un incubo per la ’ndrangheta. Seguono verbali densi di riferimenti, nomi e omissis. Il narcotrafficante aveva le chiavi di un business globale con connessioni fino a Guardavalle: la preoccupazione dei Gallace era legittima.