Processo nato da un'inchiesta che nel novembre 2018 aveva stroncato le nuove leve della cosca Tegano che si erano infiltrate nel settore delle scommesse online
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Era considerato il boss emergente del clan Tegano, tanto feroce in strada, quanto spregiudicato negli affari. Ma la carriera criminale di Mico Tegano, il figlio del boss ergastolano Pasquale e capo indiscusso di quei “Teganini” che per anni hanno terrorizzato la movida cittadina, ha subito un brusco e lungo stop. Per la precisione, di 11 anni e 9 mesi.
È questa la condanna decisa per lui dal gup Arianna Raffa al termine del processo con rito abbreviato scaturito dall’inchiesta Galassia, che ha svelato l’impero costruito dal clan di Archi all’ombra delle scommesse on line.
Insieme a Tegano, condanne sono arrivate anche per “Danilone” Iannì Iannì (12 anni), Francesco Franco (9 anni e 4 mesi), Giuseppe Pensabene (8 anni e 10 mesi) ed Antonio Zungrì e Giuseppe Abbadessa (entrambi 2 anni) per i quali cade l'aggravante mafiosa. Sono stati assolti, invece, Antonino Augusto Polimeni, Domenico Aricò e il boss Carmelo Murina, detenuto per altra causa.
L’inchiesta
Per le motivazioni, toccherà attendere almeno i canonici 90 giorni. Ma le condanne già bastano a confermare l’impianto complessivo di un’inchiesta che ha documentato come molte delle società che per anni hanno eluso tributi e controlli, piazzando la sede legale a Malta o in altri Paesi pur mantenendo piena operatività in Italia, fossero in rapporto «sinallagmatico con la 'ndrangheta». Ma soprattutto ha cristallizzato e - per un po’ quanto meno – bloccato l’ascesa di un piccolo boss inutilmente feroce, che anche prima dell’inchiesta Galassia aveva fatto parlare di sé.
Il giovane reggente
Magrolino e dal colorito quasi cadaverico, a dispetto dell’aspetto da anonimo bravo ragazzo – occhialini griffati e camicia inamidata - nel mondo delle scommesse era un boss. Per gli inquirenti, della storica cosca di Archi «capeggiata da Pasquale Tegano, il figlio Domenico dimostra di essere attuale reggente, unitamente allo zio Polimeni Franco». Stessa canzone canta chi con lui ha avuto a che fare.
«L’hanno sempre rappresentato questo Domenico Tegano come il boss della famiglia Tegano calabrese. Lui che comandava, lui che faceva, quindi tutto doveva passare tramite lui» ha detto di lui ai pm Fabio Lanzafame, uno dei grandi “broker” del mondo delle scommesse. «Me l’hanno sempre descritto come un personaggio di spicco, un boss, uno che comandava la famiglia Tegano, “adesso comanda lui, c’è lui ehm..dalla parte di Reggio in giù”, questo è quello che mi hanno sempre descritto, uno molto pericoloso, aggressivo sì, rissoso proprio».
Tra risse e affari
Le immagini di una telecamera di sicurezza di un esercizio commerciale lo immortalano come protagonista di un pestaggio di qualche anno fa e per un po’ di tempo quello è stato il suo unico cruccio giudiziario. Nulla di troppo grave sulla carta, sebbene gli investigatori della Mobile lo inquadrassero chiaramente come dotato di un carisma criminale «fuori dal comune che, nonostante la sua giovane età gli garantisce il massimo rispetto sia da parte dei suoi fiancheggiatori, che dai soggetti estranei alla propria organizzazione». Poi è arrivata l’inchiesta antimafia che ha iniziato a svelarne il ruolo. E il giro d’affari. Lui e i suoi «dal 2012 al mese di febbraio 2016 – sottolineava il gip - hanno raccolto nella sola città di Reggio Calabria scommesse per un importo complessivo pari a 9.464.084,72 euro».
Mani bucate
Del resto, a lui era finito in mano un pezzettino dell’impero transnazionale degli arcoti nel mondo delle scommesse on line. Non che fosse un fine stratega. Anzi, racconta intercettato uno dei suoi, più di una volta si è fatto prendere la mano con il gioco, tanto da dover scappare in Romania a sistemare «un casino» - così lo definisce Peppe Pensabene, uno dei suoi fedelissimi – con Betclou. «Stava lavorando con Betclou e una notte si è ammazzato» confida Pensabene a Gennaro che deduce «ho capito che aveva giocato o al casinò o al poker non gli chiesi di più».
Le serate del club «Archi For ever»
Ma in Romania, a coprirgli le spalle c’erano Iannì e altri fedelissimi, insieme facevano girare milioni nel mondo delle scommesse on line e si lasciavano andare a serate senza freni nei locali di Bucarest, sui cui wall-led campeggiava la scritta “Archi for ever”, giornate relax nei centri benessere, cene e pranzi nei ristoranti di lusso e nottate folli nei casinò di mezza Europa. Altre inchieste come Malefix invece, raccontano di mani lunghe, impegni con altri clan non rispettati, ma anche assai poco virili piagnistei quando, per i molteplici guai, veniva messo da parte.
Quella bomba che poteva uccidere
E tutte ne raccontano i metodi assai spicci. Ne ha fatto le spese quello che oggi è il pentito Mariolino Gennaro, ma all’epoca era il padrone della Betuniq. Da lui, Tegano si è presentato per battere cassa. «Domenico – racconta il collaboratore al pm Musolino - prende mi fa: “Senti Mariolino” dice: «Tu lo sai...» con un'aria tipo tutta... “Tu lo sai mio padre ti voleva bene una volta”. Suo padre? Forse l'ho visto una volta e se tutto bene nel '90 quindi 25 anni fa, quindi: “Quando eri più piccolino, mio padre ti ha voluto sempre bene qua e là!” (..)Ad un certo punto mi fa: “Comunque, ti volevo dire una cosa praticamente ho parlato con mio zio Franco Polimeni, mi ha mandato qua dice che ci servono 30 mila euro”».
Gliene ha consegnati nel giro di poco 10mila, racconta al pm Stefano Musolino, ma non sono bastati. Risultato, meno di un mese dopo una bomba, fatta esplodere in pieno centro cittadino, di fronte ad un frequentatissimo bar aperto h24, ha distrutto uno dei suoi centri scommesse. Erano le 11.30 di sera e solo per caso non ci è scappato il morto. Ma al capo dei Teganini la cosa non è mai importata più di tanto.