Confermano la centralità della famiglia Pelle di San Luca ed in particolare di Giuseppe Pelle, alias “Gambazza”, figlio del defunto patriarca di San Luca Antonio Pelle, le indagini relative all’operazione “Mandamento jonico”. Giuseppe Pelle avrebbe avuto un ruolo determinante non solo con riferimento alle vicende del  “Mandamento ionico”, ma a tutta l’organizzazione della ‘ndrangheta a livello “provinciale”.

 

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Giuseppe Pelle avrebbe assunto le decisioni finali in relazione a molteplici questioni riguardanti la concessione di doti e cariche in tutta la “Provincia”, ovvero riguardanti dissidi interni anche a singoli “locali” di ‘ndrangheta, pianificando le attività estorsive o comunque di infiltrazione nei pubblici appalti. Le intercettazioni dimostrano la sistematica pressione estorsiva, costituita dal 10% del valore delle opere, nonché l’infiltrazione negli appalti pubblici tra cui quello relativo ai lavori della linea ferroviaria Sibari – Melito Porto Salvo nella tratta Condofuri – Monasterace del valore complessivo di 500 mila euro.

 

Il locale di Locri. E’ stata accertata l’operatività delle cosche Cataldo e Cordì, anche dopo la formale chiusura del Locale di ‘ndrangheta a seguita della cruenta faida fra le due “famiglie”. Raggiunta  una formale pacificazione al fine di “riattivare” il “Locale” e rientrare nel consesso ‘ndranghetista da cui i due clan erano stati esclusi, le indagini hanno permesso di delineare gli organigrammi delle due cosche e di quelle satellite, nonché documentato: l’esecuzione di diverse estorsioni a imprese e esercizi commerciali; l’infiltrazione negli appalti pubblici per la realizzazione del nuovo palazzo di giustizia (appalto indetto dalla Provincia di Reggio Calabria per  un importo complessivo di € 1.878.641,87 finanziato attraverso il Pon Sicurezza  2007 – 2013; appaltati dalla impresa “Scali s.r.l.”  i cui legali rappresentanti, al fine di poter proseguire ed ultimare la realizzazione dell’opera, sarebbero stati costretti a versare a titolo estorsivo una somma di denaro pari ad  80mila euro  in favore dei fratelli Antonio e Francesco Cataldo); dell’ostello della gioventù, del centro di solidarietà Santa Marta e di istituti scolastici, nonché nella gestione di terreni pubblici e nell’assegnazione degli alloggi popolari. In merito a quest’ultimo argomento l’indagine ha consentito di accertare le azioni della cosca Cataldo volte a conseguire il controllo di alcuni alloggi popolari in Locri.

Attivi a Locri e dintorni anche i clan Aversa-Armocida”, Ursino e Floccari.

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Durissimo colpo alla 'ndrangheta: la Dda di Reggio esegue 116 fermi 

 

I locali di Africo, Ferruzzano e Motticella. E’ stato accertatoil veto posto dal capo del Locale di Africo, individuato dai carabinieri in Rocco Morabito, 70 anni, fratello del boss Giuseppe Morabito, alias “Tiradritto”, alla riattivazione del Locale di Motticella, formalmente chiuso dagli organismi di vertice della ‘Ndrangheta a seguito della faida che ha interessato quel centro negli anni ‘80/90, i cui strascichi non consentono, tuttora, una formale pacificazione; la contesa all’interno del Locale di Ferruzzano tra due fazioni per la carica di “capo società”, sfociata con scontri a fuoco per i quali si è ottenuta una aderente chiave di lettura;

 

 

Locali di Platì e Natile di Careri. E’ emersa la sintonia criminale tra i due Locali confinanti, nei quali spiccano le cosche Barbaro di Platì e Ietto-Cua-Pipicella di Natile di Careri, protagoniste della totale infiltrazione mafiosa nel campo dei lavori pubblici. In particolare, le indagini hanno permesso di accertare: la turbativa di numerosi appalti pubblici nel settore delle opere infrastrutturali, indetti dai Comuni di Platì e Careri e dall’ente pubblico “Comunità Montana Aspromonte Orientale” di Reggio Calabria, in favore di ditte controllate dalle cosche locali, il tutto secondo logiche spartitorie dettate dagli equilibri mafiosi sul territorio tra le cosche; l’esistenza nel Comune di Careri di un sistema illecito di conferimento diretto e sistematico, tramite “somme urgenze”, di commesse pubbliche in favore di imprese controllate dalla cosca Ietto-Cua-Pipicella; l’infiltrazione mafiosa nei cantieri per la“nuova costruzione e parziale adeguamento della ex Statale 112 “Bovalino - Platì - Zillastro – Bagnara”, appaltati dalla Provincia di Reggio Calabria.

Rosario Barbaro, di Platì, detto “Rosi”, ritenuto il capo locale di Platì, avrebbe esercitato il proprio controllo sugli operai del “Consorzio di bonifica dell’Alto Jonio Reggino” i quali venivano sistematicamente e indebitamente impiegati per eseguire lavori edili di manutenzione nelle sue proprietà, mentre venivano retribuiti dal Consorzio ufficialmente per lo svolgimento di opere di bonifica del territorio;

Le famiglie mafiose Perre e Barbaro di Platì avrebbero giocato poi un ruolo importante nell’indebita percezione di contributi comunitari all’agricoltura, relativi al periodo 2009 – 2013 con truffe all’Inps di Reggio Calabria attraverso una falsa documentazione attestante fittizie assunzioni temporanee di braccianti agricoli, al fine di ottenere il pagamento indebito di contributi previdenziali e di disoccupazione.

 

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Il Locale di Ardore. Qui è stata attivata una sovrastruttura intermedia, denominata “Corona”, con relative cariche con lo scopo di accrescere il prestigio dei locali (Ardore, Antonimina, Ciminà, Cirella di Platì e Canolo) che la compongono. Sono anche stati documentati gli attriti, tra gli affiliati del Locale di Ardore e una parte della comunità Rom insediata in quel Comune, dovuti alle attività criminali predatorie poste in essere da questi ultimi in contrapposizione alla cosca di Ardore. Al vertice delle cosche di Ardore si sarebbe posto Francesco Pangallo della cosca Latella – Ficara di Reggio Calabria. Pangallo avrebbe, secondo l’accusa, riferito sistematicamente a PelleGiuseppe notizie coperte da segreto istruttorio che gli sarebbero state veicolate da Zumbo Giovanni, amministratore giudiziario del Tribunale di Reggio Calabria il quale, grazie a tale posizione, le avrebbe apprese a sua volta da ambienti giudiziari.

 

Francesco Pangallo è inoltre sospettato di avere avuto un ruolo nella vicenda del posizionamento di una vettura con all’interno armi ed esplosivo rinvenuta dai carabinieri lungo il tragitto che, il 21 gennaio 2010 avrebbe dovuto seguire il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, in visita a Reggio Calabria. L’operazione ha portato anche al sequestro preventivo di un cospicuo patrimonio costituito da 13, tra società e imprese, nonché un complesso immobiliare.