La famiglia Martino di Cutro aveva conquistato potere e rispetto in seguito alla decisione del capo famiglia, Vito Martino, 54 anni, di prendere le redini delle attività criminali su Cutro all’indomani del (presunto) pentimento del boss Nicolino Grande Aracri. I ranghi cutresi si erano stretti intorno al nuovo capo cosca. Ma la famiglia Martino non riceverà mai un vero e proprio placet da parte del boss più anziano rimasto in circolazione: Domenico Megna, detto zio Mico, capo sul territorio di Papanice.

I Megna si sottraggono alle dispute tra Ciampà e Martino

Già a giugno 2021 i Megna avevano liquidato le rivalità tra i Martino e i Ciampà con un laconico «le cose di Cutro deve sbrigarsele Cutro!». L’atteggiamento dei Megna, così come appare dai brogliacci dell’inchiesta della Dda di Catanzaro denominata Sahel – che venerdì scorso ha portato i militari del comando provinciale di Crotone a eseguire 30 misure cautelari – appare di non belligeranza ma, allo stesso tempo, di non pieno appoggio, se non a tratti ostile.

L’organigramma dei Martino

La famiglia Martino, così come la consorteria cutrese, è organizzata in maniera verticistica: all’apice c’è Vito Martino, 54 anni, che è ristretto in carcere. La diretta esecutrice dei suoi ordini, sostiene la Distrettuale, è sua moglie Veneranda Verna, 54 anni, che ha anche un ruolo direttivo sulle estorsioni e sul traffico di droga. Infine ci sono tre figli. Due sono indagati: Salvatore, 32 anni, e Francesco, 27 anni, ritenuto ragazzo dal carattere «intemperante». C’è anche Luigi che non è stato coinvolto nell’indagine.

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Grattacapi per il clan: la paura che il boss possa parlare degli omicidi

I grattacapi nel clan non mancano. Basti pensare che il 25 agosto 2021 i coniugi Martino e i figli Francesco e Luigi «disquisivano in ordine al possibile coinvolgimento di Martino negli omicidi di cui avrebbe potuto parlare Grande Aracri».
Senza contare le rivalità coi Ciampà e l’atteggiamento dei Megna.

L’«intemperanza» di Francesco e i dissidi coi Megna

A far accendere la miccia di questa precaria situazione diplomatica sarà l’intemperante Francesco Martino al quale era stato dato il compito, a dicembre 2021, di recarsi da Zia Rosa (ovvero Rosita Megna, figlia del boss di Papanice, non indagata) per fare gli auguri di Natale. Ma la visita non era finita bene poiché il ragazzo sarebbe stato trattato con noncuranza. Lo racconta lui stesso nel corso di un colloquio in carcere col padre il 24 dicembre 2021: «A me ha detto… che io non c'entro niente! Che...tu si! Che io non c’entro niente! Come non c’entro niente io?! lo sono figlio e non c’entro niente? Ma che c... state dicendo?».
La madre fa presente che il ragazzo ha reagito male: ha sfidato i Megna: «Li ha sfidati! Vito! l’ha sfidato a “tuo zio!”».
Vito Martino è allarmato, dice al figlio che a volte una parola bisogna pure sapersela tenere e, infine, giunge alla conclusione che l’unico titolato a parlare con l’anziano è il figlio Salvatore, «segno evidente – scrive la Dda – del ruolo sovraordinato» che possiede il maggiore: «Ho capito tutto! Ho capito tutto! Basta a posto! ...deve parlare con tuo fratello, non con te! Con tuo fratello! Con Salvatore deve parlare!».

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L’incendio dell’auto di Francesco Martino

Il 28 dicembre 2021 l’auto di Francesco Martino viene data alle fiamme. Le telecamere riprendono un uomo che, a volto scoperto e parzialmente nascosto da un ombrello, alle 6.20 del mattino, versa del liquido infiammabile sull’auto per poi appiccarvi il fuoco e allontanarsi a piedi. Ai carabinieri il ragazzo dice di non essere in grado di riconoscere l’autore del gesto. Le ipotesi in famiglia sono le più disparate. Francesco Martino esclude che sia stata la sua condotta con i Megna a causare una reazione e afferma che si sia trattato di un ex sodale, Giordano Muto, classe ’88, che era stato estromesso dall’associazione.

L’ipotesi Ciampà e l’atteggiamento di Zia Rosa

Un’altra ipotesi è che possa trattarsi dei Ciampà i quali avrebbero approfittato del diverbio del ragazzo coi Megna per mettere zizzania. Ma questa idea non regge a lungo e un incontro chiarificatore calmerà le acque.
La famiglia commenta anche l’atteggiamento silente di Rosita Megna che non si era «fatta vedere».

I sospetti sui Megna

Il sospetto che possano esser stati i Megna non tramonta, tanto che il 16 gennaio i due fratelli Martino discutono del fatto che il mandante dell’incendio ai loro veicoli proveniva da Papanice, alludendo cosi alla mano di Domenico Megna, al punto che Salvatore avrebbe mandato Salvatore Peta (sodale del gruppo) a Papanice per parlare con il boss Megna, il cui atteggiamento avrebbe deluso Peta, al punto da accrescere i loro dubbi. Salvatore Martino si rivolta contro il comportamento del fratello Francesco, che in precedenza avrebbe avuto un modo di atteggiarsi irriguardoso nei confronti del boss papaniciaro. 
Da un lato i Martino temono un segnale di forza da parte dei Megna per troncare l’ascesa del nuovo clan su Cutro e prenderne il potere. Dall’altro lato si consolano che non si trattasse dei Ciampà perché questo li avrebbe costretti a iniziare una guerra con gli storici nemici.

«Questi ti vogliono far fare la galera!»

Veneranda Verni teme anche che i Megna avessero provocato i Martino per farli reagire e creare problemi di natura giudiziaria: «Questi ti vogliono far fare la galera!».
A cercare di fare da tramite coi Megna si pone Salvatore Peta, detto Turuzzo, 58 anni, affiliato alla cosca Grande Aracri.
È lui – si legge nell’inchiesta – che si reca da Domenico Megna e riporta i suoi messaggi. Megna, risulta dalle intercettazioni, reputava i Martino come cosca che aveva perso “punti” e che il boss papaniciaro non aveva voluto immischiarsi nella diatriba tra questi e i Ciampà, riservando eventuali discussioni all’atto della scarcerazione di Vito Martino. In un passaggio, emergeva che Cutro, in fatto di “traggiri”, avesse superato Isola Capo Rizzuto.

Il “giallo” svelato

Il “giallo” viene svelato il 13 maggio 2022, nel corso di un colloqui in carcere tra Martino Vito, la moglie e il figlio Francesco.
Emerge che l’incendio del veicolo era stato cagionato da Domenico Megna per rispondere alla mancanza di rispetto di Francesco Martino. Il ragazzo sostiene che i Papaniciari se ne fossero anche un po’ pentiti. Vito Martino comanda di non reagire e aspettare la sua scarcerazione: «Lascia stare! Poi se ne parla!».