Confermato anche dalla Cassazione il regime del carcere duro (art. 41 bis dell’ordinamento penitenziario) nei confronti del boss di Nicotera Marina e Limbadi, Pantaleone Mancuso, 60 anni, detto “Scarpuni”. La Suprema Corte ha infatti dichiarato inammissibile il ricorso di Mancuso avverso l’ordinanza con la quale il 4 febbraio scorso il Tribunale di Sorveglianza di Roma ha rigettato il reclamo del boss avverso il decreto del ministro della Giustizia con il quale in data 3 dicembre 2019 è stata decisa la proroga del regime differenziato di detenzione (carcere duro). Nessuna violazione di legge – secondo i giudici della Cassazione – , non integrando tale violazione «l’omessa enunciazione delle ragioni per le quali il Tribunale di Sorveglianza non abbia ritenuto rilevanti gli argomenti e la documentazione prodotta dalla difesa, ove i dati assunti a fondamento della decisione siano sufficienti a sostenerla e non risultino intrinsecamente apparenti o fittizi».

Risultano quindi palesemente estranee ai limiti del sindacato attribuito alla Cassazione le doglianze sviluppate in merito all’adeguatezza della motivazione sulla perdurante operatività del sodalizio cui è stato ritenuto appartenere Pantaleone Mancuso, perché si basata su specifici e dettagliati elementi che vengono contestati con argomentazioni di fatto. Sono state poi ritenute inammissibili, perché non consentite in sede di legittimità in quanto caratterizzate da doglianze di merito, le deduzioni difensive che riguardano l’assenza di rischi di contatto con l’esterno, risultando operativo il gruppo criminale dei Mancuso.

Pantaleone Mancuso è stato condannato in via definitiva alla pena dell’ergastolo nell’operazione “Gringia”, ritenuto il mandante dell’omicidio di Francesco Scrugli e del ferimento nella stessa occasione di Raffaele Moscato e Rosario Battaglia. Mancuso avrebbe rifornito di armi i fratelli Patania di Stefanaconi, “finanziando” la guerra di mafia del clan Patania contro i Piscopisani e contro il clan Bartolotta di Stefanaconi.