Si è sfiorata una 'guerra' tra famiglie calabresi che vivono in Valle d'Aosta dopo una lite scoppiata tra due ragazzi. E' accaduto nel giugno-luglio 2015 - come si legge nell'ordinanza di custodia cautelare per l'operazione 'Geenna' sulle infiltrazioni nella regione alpina - quando c'era stata una colluttazione tra il nipote di Antonio Raso e il figlio di Salvatore Filice, con quest'ultimo che aveva riportato contusioni guaribili in 6 giorni.

Le dinamiche mafiose

«La vicenda rileva in quanto dimostrativa di dinamiche interne alle due fazioni tipiche della 'ndrangheta - si legge nell'ordinanza - in cui un mero litigio tra ragazzi provoca reciproche pretese di rispettabilità tali da muovere la stessa locale di San Luca al fine di comporre gli attriti. In particolare, emerge la valenza dei Nirta di San Luca quali referenti per salvaguardare l'onore familiare». In dettaglio Salvatore Filice (gestore di un night club a Chatillon) aveva chiesto 10.000 euro ai parenti di Raso a titolo di 'risarcimento', arrivando anche a minacciare gli zii del ragazzo con una pistola. Gli stessi zii si erano quindi rivolti ad Antonio Raso per risolvere la questione. «...ha fatto un cazzo di casino qua che siamo dovuti andare ad aggiustare le cose...' dice Raso in un'intercettazione. Della questione - riporta l'ansa - sono stati informati anche i referenti calabresi - si legge - sia della compagine 'ndranghetista aostana, sia di Salvatore Filice e si sono mossi personaggi influenti che hanno rispettato le regole della consorteria mafiosa». Dopo vari incontri non andati a buon fine, con il coinvolgimento anche di Marco Di Donato ("...io l'ho fatto per la famiglia mia..." è riportato in un'intercettazione), la questione era stata risolta al termine di una riunione "tesissima" in un pub di Sarre.

Il sostegno alle famiglie dei detenuti

«Alcuni episodi dimostrano come gli indagati, in virtù della loro appartenenza alla 'ndrangheta ed in particolare al locale di Aosta, avanzino richieste di denaro per il sostegno di loro familiari detenuti, ovvero si sentano in dovere di contribuire, sia pure con piccole somme, al mantenimento di altri appartenenti alla 'ndrangheta tratti in arresto nell'ambito di recenti attività di indagine». Il sostegno era diretto a carcerati residenti nella regione alpina ma anche in Calabria, appartenenti alle famiglie dei Fazari e Ierace. In un'intercettazione Marco Di Donato intima a Nicola Prettico di farsi dare il denaro promesso: «Si, ora te li deve dare senza pietà...però gli dici ascolta, qua non c'è prezzo non c'è cosa gli dici, perché qua così veramente ci sono i carcerati che devono mangiare...digli proprio così».

 

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