Si tratta della tranche lombarda di una maxi inchiesta, coordinata anche dalle Dda di Reggio Calabria e Firenze, sul clan Piromalli-Molé. Inflitti in totale circa 200 anni di carcere
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La Corte di appello di Milano ha confermato le 34 condanne inflitte ad altrettanti imputati che avevano scelto il giudizio abbreviato dopo la chiusura dell’inchiesta “Cavalli di razza” della Dda di Milano contro la 'Ndrangheta in Lombardia, in particolare nelle province di Como e Varese. Si tratta della tranche lombarda di una maxi inchiesta, coordinata anche dalle Dda di Reggio Calabria e Firenze, sul clan Piromalli-Molé.
I giudici della quinta sezione penale di Milano, presidente Monica Fagnoni, hanno riconosciuto l’impianto accusatorio dei pm Pasquale Addesso e Sara Ombra che contestava l’associazione di stampo mafiosa e tutti i reati “scopo” come il traffico di stupefacenti, le bancarotte fraudolente, le estorsioni e false dichiarazioni per uso di fatture per operazioni inesistenti. In totale inflitti circa 200 anni di reclusione con la pena più alta, oltre 11 anni, per lo storico boss della 'ndrangheta in Lombardia Bartolomeo Iaconis.
A seguito delle indagini della Squadra mobile di Milano e della Gdf di Como, erano già stati condannati in primo grado anche Michelangelo Larosa (10 anni) e Michelangelo Belcastro (oltre 9 anni), entrambi con Iaconis della 'locale' di Fino Mornasco (Como). Dagli atti era emerso, poi, che Attilio Salerni (condannato a 8 anni) e il fratello Antonio (8 anni e 4 mesi) sarebbero stati gli esecutori materiali «di violenze e minacce nei confronti dei dirigenti» della Spumador Spa, azienda di bevande gassate finita nella morsa dei clan e per la quale era stata disposta l'amministrazione giudiziaria per infiltrazioni mafiose, poi revocata. Alla Spumador, parte civile nel processo, era andata una provvisionale di risarcimento di 100mila euro. Per associazione mafiosa erano state condannate anche Elisabetta Rusconi e Carmela Consagra (moglie di Iaconis), intestatarie fittizie, secondo l'accusa, di tre società e che si sarebbero occupate pure «delle attività di recupero crediti» quando i mariti erano detenuti. L'evolversi della 'ndrangheta in Lombardia, ha scritto il gup Lorenza Pasquinelli nella sentenza di primo grado, ha «portato ad un arricchimento del panorama umano di riferimento, posto che le locali», ossia i clan, «si compongono non solo di personalità mafiose già note, ma anche di nuove generazioni, nuove reclute».