«Non si vede niente con questi occhiali qua. Tra i calabresi… i cristiani quando si salutano si guarda negli occhi». In certi contesti le parole pesano come pietre. E quando Salvatore Giacobbe, capo del gruppo di calabresi di stanza a Milano e legato al clan Piromalli, si rivolge a uno dei presunti emissari campani il rischio dell’incidente diplomatico è altissimo. Giacobbe, 72 anni, è un tipo vecchio stampo: gestisce quello che i magistrati della Dda di Milano definiscono «sottogruppo» come una caserma. Nessuno sgarro è tollerato. Figuriamoci se accetta di parlare di affari quando lo sguardo del suo interlocutore è protetto da pesanti lenti scure.

Questione di rispetto. L’emissario campano toglie gli occhiali ma resta «molto infastidito» tanto da dire a bassa voce, una volta che Giacobbe si allontana: «Io penso che voi non lo sapete con chi state avendo a che fare, eh! Va beh…». Rimarca così la caratura del suo gruppo criminale di appartenenza ma evita uno scontro frontale: certe cose non servono quando ci sono affari da chiudere.

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Il settore è quello dei rifiuti e la controparte per Giacobbe e i suoi uomini è un gruppo vicino al clan di Casal di Principe. Il gruppo Giacobbe è, per i magistrati antimafia, «egemone sul territorio nazionale». Giovanni Caridi, uno dei suoi presunti rappresentanti, nel 2019 intrattiene rapporti con il figlio di un uomo «ritenuto contiguo al clan dei Casalesi. Il 37enne, «per accreditarsi con i Giacobbe orgogliosamente afferma che suo padre era stato uno dei principali collaboratori del noto boss camorrista Francesco Schiavone, detto Sandokan», oggi collaboratore di giustizia.

La conversazione è, per i pm, significativa «perché ancora una volta esprime quel “codice d’onore” deviato e tipico delle consorterie criminali mafiose, lì dove in particolare Cariti, biasimando la scelta del suo interlocutore – che gli confida di aver rifiutato l’aiuto del clan dopo carcerazione del padre («perché se prendi poi devi dare») – afferma: «Non è così, quello è un dovere, è diverso». Qualche tempo dopo, in un bar di Milano, i membri del gruppo Giacobbe incontrano nuovamente «soggetti che si autodefiniscono come appartenenti ai Casalesi». Anche in questo caso l’oggetto dell’incontro è «il traffico di rifiuti» ed emerge «l’esigenza di coordinarsi, di collaborare tra loro e di offrire reciproca assistenza e aiuto nell’ambito dell’attività illecita».

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In questa occasione, Giacobbe si mette in disparte, «accomodandosi a un tavolino nelle vicinanze, per non essere notato in tale compagnia da appartenenti alle forze dell’ordine, considerato il suo status di pluripregiudicato e di soggetto ancora sottoposto alla sorveglianza speciale». Giacobbe «spiega che “è precario”, ha fatto 20 anni di galera ed è meglio così, preferisce allontanarsi essendo pregiudicato visto che si tratta di un amico, per evitare di trovarli insieme».

Il traffico di rifiuti coinvolge una società di Mantova e ha partner internazionali: una delle mette degli autoarticolati è la Bulgaria. Uno dei presunti contatti campani comunica «di avere la disponibilità di un impianto di smaltimento rifiuti munito di tutte le autorizzazioni, con annesso un inceneritore e con la possibilità di operare con l’estero». Caridi, da parte sua, ribatte che il gruppo dei calabresi progetta di utilizzare un impianto di Limbiate che «stava ottenendo le autorizzazioni necessarie per operare con la Croazia». Gli intoppi, però, non mancano: alcuni trasporti saltano e Caridi non la prende bene: «Perché la famiglia che sono loro e la famiglia che siamo noi non ci possiamo permettere di fare queste figure di merda. Loro non possono rischiare per l’incompetenza di altri dei mandati di cattura». Certi rapporti vanno coltivati con attenzione, il rischio di uno scontro è sempre dietro l’angolo.

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Succede anche quando qualcuno utilizza toni fuori dalle righe nel rapporto con i Casalesi. Uno dei soci campani («che si presenta come “Franco… Casalesi”») non gradisce i modi di Caridi: «A me 'sti atteggiamenti del c...o non mi piacciono, o lavoriamo tranquilli e seri o se dobbiamo fare i malandrini allora a 'sto punto… Poi vediamo dove puoi arrivare tu e dove arrivo io». L’uomo fa intendere «che, all’occorrenza, si sarebbero potuti misurare “sul campo” le rispettive capacità criminali, quelle del gruppo Giacobbe e quelle dei Casalesi». Lo scontro è sempre dietro l’angolo.