Per la Corte Cassazione Pantaleone Mancuso non ha commesso un illecito zittendo il pubblico ministero Marisa Manzini nel 2016 durante il processo Black money
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La prima sezione penale della Cassazione ha annullato senza rinvio il provvedimento emesso nei confronti di Pantaleone Mancuso, 60 anni, alias “Scarpuni”, di Nicotera Marina, con riferimento alle presunte minacce che il boss avrebbe proferito in video-collegamento nei confronti dell’allora pm Marisa Manzini in un’udienza del processo “Black money” nel 2016 in corso dinanzi al Tribunale collegiale di Vibo Valentia. Nel merito i giudici di legittimità hanno stabilito che «l’invito a stare zitta rivolto in udienza al pubblico ministero non può escludersi che fosse effettivamente collegato alla scelta di poter prendere la parola da parte del detenuto». Per tale vicenda, per la quale ora la Cassazione ha annullato senza rinvio il provvedimento di irrogazione della sanzione disciplinare che era stata inflitta a Pantaleone Mancuso il 19 ottobre 2016 (con esclusione, quindi, per il detenuto delle attività in comune nel carcere), è pendente dinanzi al Tribunale di Salerno anche un processo penale che vede parte offesa il pm Marisa Manzini, autrice anche di un libro sulla vicenda.
Per la Cassazione (Mancuso è difeso dagli avvocati Francesco Sabatino e Piera Farina), affinché possa configurarsi «l’esistenza di un’infrazione disciplinare occorre una violazione, cui segue la sanzione, secondo un tracciato di stretta legalità. Nella specifica vicenda il principio di tassatività e, prima ancora, di legalità, non sono rispettati e, attraverso un’operazione di creazione interpretativa, si collega all’art. 77 d.p.r. 77/2000 un comportamento non previsto dalla disposizione in esame. Così ragionando – spiega la Suprema Corte – si compromette la regola di tassatività della fattispecie. La lettura estensiva operata nel caso in esame finisce per recuperare al piano sanzionatorio una violazione non prevista come illecito disciplinare e che non è stata sanzionata come reato.
Nel merito, l’invito a “stare zitto”, rivolto in udienza al pubblico ministero, non può escludersi che fosse effettivamente collegato alla scelta di poter prendere la parola da parte del detenuto. L’invito al silenzio, dunque, sia pur tradottosi in un’espressione poco elegante, non dimostra ex se una violazione regolamentare, né una mancata partecipazione all’opera di rieducazione. Anzi, il ricorrente senza indugio – conclude la Cassazione – avrebbe rivolto le sue scuse all’accusa, spiegando che non intendeva recare offesa».
Da qui l’annullamento del provvedimento di irrogazione della sanzione disciplinare che era stata inflitta a Pantaleone Mancuso per quanto accaduto nel corso dell’udienza del processo “Black money”.