Un fornitore e un acquirente. Un imprenditore sponsorizzato dal capoclan e uno intimidito e costretto a comprare la merce. Due storie che si incrociano negli atti dell’inchiesta sulla ’ndrangheta nelle Preserre vibonesi. Con il carico di contraddizioni che certe dinamiche trascinano con sé. Da un lato c’è la difficoltà di denunciare, dall’altro la possibilità di ottenere guadagni facili con le fatture che salgono da 11 a oltre 900 nel giro di un anno anche grazie – è l’ipotesi della Dda di Catanzaro – all’intervento di uno dei pezzi grossi della cosca.

La storia inizia con «una bottiglia di plastica contenente liquido presumibilmente infiammabile di colore nero, con attaccato sul collo mediante nastro adesivo un accendino». Poche righe e una foto: la nota dei carabinieri racconta una presunta estorsione come (purtroppo) ce ne sono tante. Estate 2018: nel mirino finisce un’attività commerciale del Vibonese. Dai proprietari non arrivano indicazioni utili alle indagini: «Mai ricevuto richieste estorsive». Eppure qualche mese dopo nei pressi dell’abitazione del proprietario vengono lasciate due cartucce di fucile calibro 12. Un nuovo avvertimento di cui il titolare dell’attività non riesce a farsi una ragione: «Non ho mai avuto problemi con nessuno».

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Sono le indagini dei carabinieri a raccogliere elementi significativi su quelle intimidazioni che sanno di ’ndrangheta. La prima arriva dall’analisi del registro fornitori di quel negozio: circa una settimana dopo il ritrovamento della bottiglia incendiaria spunta una nuova ditta. Gli investigatori mettono «in relazione con l’atto intimidatorio» il dato «relativo al momento di inizio della fornitura» e ricostruiscono il quadro: alcuni giorni prima dell’effettuazione dell’ordine in effetti si sarebbe presentato in negozio un ragazzo per vendere i propri prodotti. Non era solo: con lui c’era Angelo Maiolo, considerato dalla Dda di Catanzaro uno dei capi del clan di Acquaro, nelle Preserre vibonesi. Maiolo, appuntano i militari, «seppur non proferendo alcuna parola», avrebbe assistito a tutta la trattativa.

Comincia la seconda parte delle indagini sulla presunta estorsione. I militari ricostruiscono la storia del nuovo fornitore: la società si è trasferita dalla provincia di Latina in Calabria e ha un solo dipendente. Gli approfondimenti portano i carabinieri a Vibo Valentia, nello studio del commercialista che tiene i conti della ditta. Se ne occupa il reparto Tutela agroalimentare di Messina. Dalla documentazione salta fuori un dato che viene cerchiato in rosso dagli inquirenti: «La ditta aveva aumentato notevolmente il proprio fatturato passando dalle 11 fatture relative al 2017 alle 925 fatture emesse nel periodo compreso tra il 2 gennaio 2018 e il 30 ottobre 2018. Inoltre, dalla lista dei clienti si evinceva che la merce fornita veniva venduta a numerosi esercenti presenti nelle province di Reggio Calabria, Catanzaro e Vibo Valentia». Tra questi c’è anche la ditta che ha subito l’intimidazione.

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Che l’aumento del giro d’affari sia legato alla vicinanza a contesti criminali è soltanto un’ipotesi ma questa è una piccola storia che racconta molto. Avere un capoclan come sponsor può aiutare gli affari. Specie se il concetto di concorrenza è quello che Angelo Maiolo vorrebbe applicare e sul quale istruisce uno dei suoi compari, a cui consiglia di «minacciare con un’arma anche da fuoco» eventuali venditori sgraditi.

Al suo sodale Maiolo consiglia di fermare il furgone del concorrente e dire che «la prossima volta ti sparo nella testa in piazza, la prossima volta che vieni qua ti sparo nella testa. Punto e vai che devo mangiare e campare pure io che ho due figli».

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Maiolo ne ha per tutti: venditori e potenziali acquirenti. Se qualcuno avesse comprato altrove sarebbero stati guai, «gli avrebbe dovuto far esplodere il negozio (…). Come ti vedo che non compri te lo faccio arrivare all’altra parte del fiume». È il clan che vuole indirizzare il mercato in piccoli centri giù abbastanza distanti dalle principali rotte commerciali: c’è chi subisce e chi accresce il proprio giro. Senza scrupoli il fatturato aumenta ma i conti con la giustizia, prima o poi, si pagano.