La ‘ndrangheta entra stamattina per la prima volta in un’aula di giustizia del Trentino. I 15 imputati implicati nell’inchiesta Porfido, così come riportato da quotidiano regionale ildolomiti.it, si troveranno davanti al gup per l’udienza preliminare. Una data simbolica per la provincia autonoma che, il 15 ottobre dello scorso anno, prese coscienza delle infiltrazioni della mafia calabrese nel suo tessuto sociale, politico ed economico.  

Alla sbarra 15 presunti affiliati alle cosche reggine dei Serraino, Iamonte e Paviglianiti:
Demetrio Costantino
Pietro Battaglia
Mario Giuseppe Nania
Domenico Morello
Innocenzo Macheda
Giuseppe Battaglia
Pietro Denise
Domenico Ambrogio
Giovanni Alampi
Antonino Quattrone
Alessandro Schina
Giovanna Casagranda
Federico Cipolloni
Fabrizio De Santis
Vincenzo Vozzo. 

Tutti rispondono, a vario titolo, di associazione mafiosa, scambio elettorale politico-mafioso, porto e detenzione illegale di armi da fuoco e riduzione o mantenimento in schiavitù.

Il 15 dicembre scorso, invece, ha preso il via un altro filone del processo nel quale sono imputati Giuseppe Paviglianiti, presidente dell'associazione Magna Grecia di Trento, Arafat Mustafà e Saverio Arfuso, che hanno scelto essere giudicati con il rito abbreviato.

Nell’udienza di oggi chiederanno di essere ammesse come parti civili la Provincia autonoma di Trento, il Comitato Porfido, i sindacati e l’associazione Libera.

Il blitz è scattato il 15 ottobre dello scorso anno, condotto dai carabinieri del Ros e coordinato dalla procura di Trento. Le indagini hanno fatto emergere la presunta esistenza di una locale di ‘ndrangheta a Lona Lases, infiltrata nelle attività di estrazione del porfido. Da qui avrebbe poi allacciato i rapporti con il mondo politico e istituzionale trentino allargando la sua influenza sull’intera provincia di Trento. Nell'operazione sono state sequestrate anche 15 società

Secondo gli inquirenti, la locale trentina sarebbe la proiezione del clan di Cardeto, in particolare delle cosche reggine Serraino, Iamonte e Paviglianiti. Gli investigatori parlano di una vera e propria colonizzazione, con il trasferimento di affiliati calabresi in altri territori in precedenza immuni dal fenomeno mafioso, soprattutto nelle regioni del Nord Italia caratterizzate da un maggiore sviluppo economico e da un più ampio grado di ricchezza.

In questi territori sono state, infatti, ricostituite le articolazioni criminali di base della ‘ndrangheta, definite locali, le quali hanno mutuato da quelle calabresi le regole di funzionamento e le forme delle iniziative criminali. Queste ramificazioni, presenti in Italia ma anche all’estero, seppur dotate di una certa autonomia operativa, sono legate alla ‘ndrangheta dei territori calabresi di origine a cui rispondono del loro operato e dipendono sotto un profilo regolamentare ed organizzativo.

Per quanto concerne il Trentino Alto Adige, la complessiva attività investigativa avrebbe permesso di ricostruire come il processo di insediamento della ‘ndrangheta nella Val di Cembra sia collocabile tra gli anni 80 e 90, verosimilmente poiché attratta dalla ricca industria legata all’estrazione del porfido.

Emblematica la dichiarazione, questa mattina, fuori dal tribunale rilasciata a ildolomiti.it da uno dei tanti lavoratori del porfido: «Non ce l’ho con i 10 mafiosi arrivati qui, ma con la connivenza della politica e degli imprenditori trentini».