La sentenza “Reset” pronunciata nell’aula bunker di Castrovillari, seppur ancora di primo grado, aggiunge un ulteriore record all’albo nero delle associazioni mafiose che hanno operato a Cosenza e che sono state riconosciute definitivamente in via giudiziaria. Si tratta di un elenco che parte dagli anni Novanta ed è in continuo aggiornamento. In tal senso, la più recente inchiesta antimafia, già a partire dal suo nome in codice, sembra avere la pretesa di essere anche l’ultima del suo genere, almeno per quanto riguarda la città dei Bruzi. Solo il tempo ci dirà se è davvero così. Nell’attesa, ripercorriamo le precedenti indagini che hanno dato consistenza all’idea di ‘ndrangheta anche alle nostre latitudini.

Garden

Due sentenze, la prima della Corte d’Assise di Cosenza (9 giugno 1997) e l’altra della Corte d’Appello di Catanzaro (13 marzo 1999), divenuta irrevocabile il 3 luglio dell’anno successivo, certificano ufficialmente che a partire dalla fine degli anni Settanta, in città nel territorio cosentino si costituivano due associazioni di tipo mafioso organizzate e dirette una da Franco Pino e Antonio Sena, da Franco Perna e dai fratelli Mario e Pasquale Pranno. Due gruppi contrapposti e protagonisti di un sanguinoso conflitto per il controllo delle attività economiche e illecite sul capoluogo.

Il clan Perna-Pranno, che si poneva in continuità con lo storico boss Luigi Palermo alias “U zorru”, ucciso il 14 dicembre 1977, aveva tra i suoi elementi di spicco anche i fratelli Giuseppe e Francesco Saverio Vitelli. Pino, invece, poteva contare sull’adesione di alcuni giovani a lui fedelissimi come Ettore Lanzino, Francesco Patitucci, Gianfranco Ruà e Gianfranco Bruni. Si tratta di nomi che, come vedremo, saranno ricorrenti anche nelle inchieste dell’immediato futuro.

In quel contesto ha inizio la prima guerra di mafia che, dal 1978 al 1986, innesca una spirale tragica di omicidi che vede, peraltro, alcuni esponenti del gruppo degli zingari, in precedenza alleati di Perna, passare con la fazione rivale. Sempre all’interno del gruppo di etnia rom, matura proprio in quel periodo il trasferimento di una parte di loro da Cosenza nella Sibaritide, in particolare a Cassano dove, in seguito, cresceranno in numero e potenza.

Dopo essersi fronteggiati per anni, in un reciproco tentativo di annientamento, a partire dal 1986 i due gruppi avviano un principio di dialogo e, a quasi dieci anni dalla divisione traumatica e dall’inizio delle ostilità, si ricompattano per concentrarsi sugli affari che, con i grandi appalti pubblici, si profilano già all’orizzonte. L’ondata di arresti dell’operazione “Garden", però, apre di fatto l’epoca delle collaborazioni, anche eccellenti (tra le quali quella dello stesso Pino e di Umile Arturi, il numero due della cosca). Il processo, alla fine, sancirà, tra le altre cose, il carcere a vita per Franco Perna e numerose condanne per associazione mafiosa. 

Squarcio

L’operazione “Squarcio”, corre l’anno Duemila, tenta di inquadrare il nuovo assetto della nuova criminalità organizzata di Cosenza sorta per fusione dei vecchi clan Pino-Sena e Perna-Pranno. La ragione sociale assegnata dagli inquirenti al nuovo gruppo è Perna-Ruà, ma si tratta di una denominazione che avrà vita breve nelle informative di polizia. Non a caso, già alla fine degli anni Novanta, con le prime scarcerazioni relative al processo “Garden”, emergono le figure di nuovi aspiranti capi come Ettore Lanzino e Domenico Cicero che si propongono all’attenzione come eredi dei vecchi boss.

La nuova confederazione criminale d’inizio millennio a Cosenza, si dota anche di due “contabili” – Vincenzo Dedato e Carmine Pezzulli – incaricati di gestire la cassa dell’organizzazione, provvedere all’acquisto di armi e narcotici nonché al pagamento degli stipendi degli affiliati e all’assistenza dei detenuti e dei loro familiari. L’aspetto militare è assicurato da un gruppo di fuoco formato da Mario Gatto, Franco Presta e Carmelo Chirillo. L’inchiesta “Squarcio” resta incompiuta (gli imputati saranno processati e assolti, molti anni dopo, per una serie di reati residuali), ma molte delle sue risultanze investigative più importanti, confluiscono in altri fascicoli giudiziari. In particolare, in quello denominato “Tamburo”.

Tamburo

È il processo che, con sentenza rivenuta definitiva il 13 luglio del 2011, certifica l’infiltrazione della consorteria mafiosa cosentina nel sistema degli appalti per l’ammodernamento dell’autostrada Sa-Rc. Al tempo stesso, però, quel verdetto riconosce giudiziariamente l’esistenza di un sodalizio di ‘ndrangheta, attivo a Cosenza dal gennaio 1999 al novembre 2002, denominato clan Cicero–Lanzino certifica, inoltre, i ruoli di “capisocietà” di alcuni esponenti dell’attuale clan degli zingari: Francesco Abbruzzese alias “Dentuzzo” ed il defunto Eduardo Pepe, entrambi cassanesi, e Francesco Bevilacqua alias “Franchino 'i Mafarda” su Cosenza.

In quel periodo, come ricostruito da inquirenti e giudici, «le ristrutturate cosche della città di Cosenza hanno influito energicamente su quelle della costa tirrenica, attraverso un piano ben definito da esponenti di rilievo della ’ndrangheta del capoluogo che, tra l’altro, prevedeva la ricostituzione di un locale di ‘ndrangheta con “competenza provinciale” composto da ‘ndrine dominanti sia nel capoluogo che nella provincia. Tale riorganizzazione era finalizzata a gestire i lucrosi introiti provenienti dalla realizzazione di opere da parte della Pubblica amministrazione tra cui anche l’imponente ammodernamento della Salerno – Reggio Calabria». A tale affare partecipano tutti i gruppi criminali: dagli “italiani” di Lanzino e Cicero, fino agli zingari cosentini di Bevilacqua e a quelli cassanesi di Abbruzzese e Pepe. 

Twister

Varato nel 2003 e portato a termine sei anni più tardi, “Twister” è il nuovo processo antimafia con cui viene sancita l’esistenza, dalla fine del 2000 alla fine del 2006, del sodalizio che vede Ettore Lanzino, Carmine Chirillo, Franco Presta e Giulio Castiglia a capo di un’associazione a delinquere di stampo mafioso dedita alle estorsioni, usura, riciclaggio, truffa e ricettazione. È anche il processo che, per la prima volta, segna il coinvolgimento in un processo antimafia di Adolfo D’Ambrosio, poi assolto. Sarà condannato qualche anno dopo in Vulpes.

Proprio in quel periodo, un’inchiesta parallela della Dda di Catanzaro – il secondo capitolo della saga “Terminator” – si propone di far luce su una scia di omicidi avvenuti alla fine del secolo precedente, quelli di Francesco Bruni e Antonio Sena in primis. In tale contesto, sia Lanzino che Presta si danno alla latitanza che si protrarrà fino al loro arresto, avvenuto rispettivamente il 16 novembre 2012 e il 13 aprile 2012.

Anaconda

L’operazione “Anaconda”, scattata nel 2008, ha per obiettivo il clan mafioso stanziato nel rione San Vito e facente capo a Domenico Cicero. Nell’inchiesta c’è anche la contestazione per l’omicidio di Angelo Cerminara, un caso di lupara bianca avvenuto nell’ottobre del 2005. Alla fine, gli imputati, tra cui lo stesso Cicero in qualità di mandante, saranno tutti assolti.

Fioccano, però, le condanne per associazione mafiosa. E in tal senso, “Anaconda” segna la prima volta di Gianfranco Sganga. L’inchiesta, però, vale anche da palcoscenico d’esordio per altri due volti divenuti poi noti alle cronache: Roberto Porcaro e Alfonsino Falbo, che in quella circostanza sono entrambi assolti dall’accusa di associazione mafiosa. 

Telesis

L’inchiesta “Telesis” ricostruisce la breve ma intensa epopea criminale della cosca Bruni alias “Bella Bella”. Fondata da capostipite Francesco Bruni, ucciso nel 1999 dal clan Lanzino-Cicero, vede suo figlio Michele Bruni assurgere al ruolo di capo dopo la morte del genitore. È lui che si fa promotore di un’alleanza con il clan dei nomadi, un tempo in guerra contro di loro, e forte di questo appoggio, arriva a stipulare un compromesso con i nemici del gruppo Lanzino-Cicero grazie all’intermediazione di Francesco Patitucci.

Il gruppo Cicero, seppur malvolentieri, si accoda al nuovo assetto criminale che prevede ora un’equa spartizione tra i diversi gruppi di tutti i proventi delle attività illecite che confluiscono così in una cassa comune, la cosiddetta “bacinella”, su cui vigilano i contabili delle rispettive organizzazioni.

Vulpes

Partita come indagine sui fiancheggiatori della latitanza di Ettore Lanzino, “Vulpes” diventa l’inchiesta che segna una nuova condanna per associazione mafiosa di Francesco Patitucci, ma è anche la prima che lo vede nei panni di reggente della cosca Lanzino. I fatti in contestazione partono nel 2008 e arrivano fino all’11 marzo del 2013. L’accusa di associazione colpisce di nuovo Adolfo D’Ambrosio e tocca anche Mario “Renato” Piromallo che, però, sarà assolto al termine del processo. 

Nuova famiglia

È l’ultima operazione antimafia eseguita a Cosenza prima di “Reset” e risale al 2014. Ricostruisce l’ascesa e la caduta del clan Rango-Zingari con riferimento alla commissione di diverse estorsioni nei confronti di commercianti e aziende della città e dell’hinterland, nonché la vicenda relativa all’omicidio di Luca Bruni.

A seguito della morte in carcere di Michele Bruni, determinata da una malattia fulminante, ad assumere il controllo del gruppo avrebbe voluto essere suo fratello Luca, uomo poco incline al compromesso e dunque avversato dal resto della consorteria. L’uccisione di Luca Bruni, avvenuta a gennaio del 2012, segna così la promozione al rango di boss di Maurizio Rango. Il gruppo criminale si impone subito come riferimento della città di Cosenza e del suo circondario, con un importante presidio sulla fascia tirrenica nella città di Paola.

Una cosca in espansione in cui emergono nuovi quadri dirigenti come Ettore Sottile, contabile dell’organizzazione, e Luciano Impieri, demandato alle estorsioni. Nella componente “zingara” si impone la compagine facente capo alla famiglia Abbruzzese alias “Banana” che funge da raccordo con i “cugini” di Cassano allo Jonio, il cui vertice è rappresentato dal già noto “Dentuzzo”, da suo fratello Nicola alias “Semiasse” e successivamente da Luigi Abbruzzese figlio di “Dentuzzo”.

La sentenza riconosce l’esistenza di un sodalizio di matrice ‘ndranghetista che, nel tempo, si era alleato con gli Italiani certificando così una “pax” mafiosa durata diversi anni e una bacinella comune nel quale venivano versate congiuntamente i proventi illeciti. Maurizio Rango, condannato alla pena dell’ergastolo, viene riconosciuto come il capo indiscusso della “Nuova famiglia” venutasi a creare dopo le faide interne.