4 gennaio 1992. Giorni di festa e di strade affollate a Lamezia Terme in un’epoca in cui era punto di riferimento nel commercio. Erano passate da poco le 18 quando i carabinieri venivano informati di una sparatoria.

Arrivati sul posto, in quella che all’epoca si chiamava via dei Campioni, avrebbero trovato una Peugeot 205 con la portiera anteriore destra aperta, la chiave inserita e il quadro acceso.

 

Con la testa riversa sul volante c’era il corpo senza vita del Sovrintendente di Polizia Salvatore Aversa mentre distesa sull’asfalto c’era sua moglie Lucia Precenzano, in fin di vita. Sarebbe morta da lì a poco.

Ricorrono oggi 27 anni da uno degli omicidia che ha segnato la storia criminale di Lamezia. Erano gli anni del primo scioglimento per infiltrazioni mafiose del consiglio comunale, gli anni del delitto dei netturbini Tramonte e Cristiano, gli anni delle faide. Sono gli anni in cui gli intrecci tra ‘ndrangheta e politica affiorano con prepotenza e Aversa ha molto su cui lavorare.

Lo fa con rigore ed intransigenza, doti che gli vengono riconosciute unanimemente e che probabilmente sono la chiave del delitto, della necessità di fermare la sua azione investigativa.

 

Ma il delitto Aversa si distingue anche per quella che verrà considerata in un primo tempo un’eroina,  ricevuta e addirittura anche premiata con la medaglia d’oro al valor civile dal Presidente della Repubblica.

È la super testimone Rosetta Cerminara. Sembra essere lei la chiave di svolta delle indagini ma verrà dimostrato che ha mentito, che voleva vendicarsi del suo ex fidanzato e così Giuseppe Rizzardi e Renato Molinaro finiscono in carcere per poi invece essere assolti. Il clamoroso fallimento delle indagini diventa un caso giudiziario attualmente studiato.

 

Bisognerà aspettare il 2000 perché due collaboratori di giustizia della Sacra corona unita pugliese, Stefano Speciale e Salvatore Chirico, confessino di essere i killer che quella maledetta sera uccisero Aversa e la moglie.

 

A dargli l’incarico Antonio Giorgi, presunto esponente dell’omonimo clan di San Luca che gli avrebbe promesso di annulare un debito per droga se si fossero messi a disposizione delle cosche lametine.

 

Cosche che volevano assolutamente fermare l’attività investigativa di Aversa. Il boss Francesco Giampà fu condannato all'ergastolo. Rimangono però ancora punti oscuri e interrogativi senza risposta. C’è chi chiede la riapertura del processo, chi in questa vicenda ha perso fiducia nella giustizia.