Le famiglie dei migranti coinvolti nella tragedia che si è consumata al largo della Calabria stanno raggiungendo il luogo del disastro. C'è chi chiede la restituzione delle salme dei congiunti ma toccherà attendere il nulla osta della Prefettura
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Dal Cara di Sant'Anna e dal vicino ospedale, oltre che dai centri vicini, da anni approdo privilegiato della rotta turca. Ma non solo. La lunga e triste processione di parenti e amici che, dalla mattina di lunedì, ha iniziato ad arrivare nella camera ardente allestita nel ventre del Palamilone, ha origini più lontane. I contatti con i parenti in attesa dell'imbarco in Turchia, oltre alla eco mediatica della strage e al tam tam impazzito sui social, hanno infatti convinto diversi migranti ormai insediati in altri paesi europei a partire per Crotone alla ricerca dei parenti che potrebbero essersi imbarcati su quel barcone fracido imploso a pochi metri dalla spiaggia di Steccato di Cutro.
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Un primo gruppo di persone proveniente dalla Germania è arrivato in città ieri notte. Tra i primi, ieri mattina, hanno varcato il cancello verde che protegge l'improvvisata camera ardente. Lì era stato sistemato, assieme alle altre sessantadue salme in attesa del riconoscimento, il cadavere di un loro parente che ha avuto la sfortuna di imbarcarsi sul barcone che si è schiantato su una secca sabbiosa davanti alla foce del Tacina. Dopo il riconoscimento, i familiari del migrante deceduto nel naufragio hanno chiesto di poter portare con loro fino in Germania il cadavere del loro congiunto, ma toccherà attendere il nullaosta della Prefettura. Un timbro per concludere un viaggio che avrebbe dovuto aprire le porte di una nuova vita e che si è chiuso tra le quattro tavole di una bara.
Dalla Germania è arrivato anche Alladin. Il volto stravolto da un viaggio in auto durato 25 ore, il giovane afgano è venuto fino in Calabria per ricostruire i pezzi della sua famiglia andati distrutti nel naufragio. «Ieri mattina mi ha chiamato il nuovo marito di mia zia – racconta in inglese mentre aspetta di essere introdotto all’interno del palazzetto per il riconoscimento – Solo lui si è salvato. Mia zia e i suoi due figli non ce l’hanno fatta. Erano in viaggio per raggiungere me e il resto della nostra famiglia in Germania. Io sono qui per il riconoscimento».
Sono le storie raccontante dai migranti che mettono in chiaro come l’Italia, per molti di essi, sia solo una tappa di passaggio prima del ricongiungimento con i familiari già integrati in Germania, in Francia o in Svezia. Una tappa che, spesso, non si riesce neanche a raggiungere.
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Tra in tanti che in queste ore stanno raggiungendo la Calabria dal resto dell’Europa, c’è anche un giovane afgano da anni trapiantato in Germania. Sua moglie, una ragazza tunisina di 23 anni, aveva trovato un posto sul barcone per raggiungerlo. «Sto arrivando» gli aveva scritto appena prima di partire. «Ci saremmo dovuti incontrare qui» ha raccontato agli operatori dell’associazione Sabir. Poi sono rimbalzate ovunque le notizie del naufragio. La donna non è nel gruppo di sopravvissuti. Potrebbe essere tra quelli custoditi nel palazzetto.
Durante il corso della giornata sono in tanti ad essersi affacciati alla camera ardente. Da soli o accompagnati da amici che riescono a esprimersi in uno stentatissimo inglese, almeno tre migranti arrivati nei mesi passati in città e qui rimasti, sono stati fatti entrare tra le bare allestite nel pancione del Palamilone. Nessuno di loro sa che fine abbiano fatto i loro cari: l'unica certezza riguarda la loro presenza sulle coste turche nei giorni immediatamente precedenti alla partenza dal porto di Smirne.