«L’analisi delle dinamiche geo-criminali dell’area mostra, ancora una volta, come il porto di Gioia Tauro rappresenti una delle rotte preferite dai trafficanti internazionali di stupefacenti». L’ultima relazione della Direzione investigativa antimafia, relativa al secondo semestre del 2018, definisce in questi termini la centralità del porto di Gioia Tauro nello scacchiere del traffico internazionale di droga, e di cocaina in particolare. Un primato che, in realtà, lo scalo calabrese ha dovuto cedere, negli ultimi tempi ad altri tre porti europei, come evidenzia la stessa relazione della Dia, secondo la quale, «se il porto di Gioia Tauro ha rappresentato per un lungo periodo lo scalo marittimo privilegiato per l’ingresso della cocaina proveniente dal Sud America in Europa, attualmente sembra aver perso tale primato, cedendo il passo ad altri terminal sul Mediterraneo e a quelli del Nord Europa».

 

Dinamiche criminali che avrebbero trasferito gli interessi maggiori verso i porti di Rotterdam, Anversa ed Amburgo, ritenuti più sicuri. Nello specifico, la Dia ritiene che questo spostamento degli interessi possa essere dovuto«ad un duplice ordine di fattori: l’aumento, rispetto agli anni precedenti, dei controlli svolti nei porti dei Paesi di provenienza da parte delle locali Autorità e nello stesso scalo calabrese; la diminuzione dei volumi commerciali diretti verso Gioia Tauro». Tesi ribadite più volte anche dal procuratore capo di Catanzaro, Nicola Gratteri, secondo il quale «il porto di Gioia Tauro è un buco confrontato al porto di Rotterdam di Amsterdam o di Anversa».

 

Eppure, la ‘ndrangheta detiene il primato nel traffico internazionale di cocaina. Secondo la Dia, infatti, «l’ampia disponibilità di capitali da investire, le basi logistiche dislocate nei punti chiave del pianeta (quali il Nord, Centro e Sud America, ove, talvolta, i propri sodali hanno trovato appoggio per la latitanza) e la capillare ramificazione oltre confine, specie negli scali portuali che costituiscono le nuove rotte dei traffici di stupefacenti (appunto Rotterdam, Anversa ed Amburgo ndr), sono elementi che rendono, attualmente, la ndrangheta, l’interlocutore necessario per le altre organizzazioni criminali italiane ai fini dell’approvvigionamento di cocaina».

 

Per quanto riguarda il porto di Gioia Tauro, comunque, negli ultimi mesi non sono certo mancati i sequestri di droga. Il 9 aprile scorso, 450 chilogrammi di cocaina, suddivisi in 420 panetti e del valore complessivo al dettaglio di circa 90 milioni di euro, erano stati sequestrati nel porto calabrese dal Comando provinciale di Reggio Calabria della Guardia di finanza nel corso di un'operazione eseguita in sinergia con la locale Agenzia delle Dogane e dei Monopoli. Mentre lo scorso 15 gennaio, ancora una volta la guardia di finanza, intercettò un carico di 115,61 chili di cocaina pura divisa in 100 panetti. Lo stupefacente era conservato in tre borsoni all'interno di un container che trasportava bobine di carta proveniente dal Cile e che, dopo aver effettuato uno scalo a Rodman (Panama), era diretto a Livorno.

 

La storia del porto di Gioia Tauro è da sempre legata alla ‘ndrangheta. Nel 2015 la Prefettura di Reggio ordinò di passare al setaccio aziende e dipendenti del quarto scalo italiano, storicamente sotto l'influenza del clan Piromalli. Già negli anni Novanta il boss Domenico Pepe, esponente delle cosche Piromalli e Bellocco, intercettato diceva: «Comandiamo tutto. Chiediamo un dollaro e mezzo a container».