VIDEO | Da Bebè Pannunzi a Domenico Trimboli, fino a Rocco Morabito, il racconto dei “Pablo Escobar” nostrani. Vite al limite tra latitanze, evasioni da film e fiumi di denaro (ASCOLTA L'AUDIO)
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Veri e propri uomini chiave, esponenti della ‘ndrangheta mandati in Sud America a gestire i traffici di cocaina con l’Italia, a rappresentare interi cartelli, a seguire scambi e contrattazioni da vicino. I più grandi narcotrafficanti di oro bianco hanno abbandonato l’Italia per vivere quotidianità dorate tra eccessi e scene da film, fianco a fianco con i narcos, ma con il fiato sul collo della polizia. Ne abbiamo tratteggiato i profili in laC Dossier nella puntata dedicata alla Narco-ndrangheta.
È dopo gli anni Ottanta che inizia a crearsi dall’altra parte del mondo una sorta di realtà parallela. La criminalità organizzata calabrese capisce che il business dei sequestri di persona è agli sgoccioli: le nuove leggi sul sequestro di beni dei familiari e i controlli sempre più serrati degli inquirenti, rendono faticoso e farraginoso riuscire a spillare denaro in cambio delle vittime. Iniziano così i “dialoghi” con la Colombia e la ‘ndrangheta intesse una vera e propria tela che ancora oggi è la sua principale fonte di profitto.
Il Copernico della cocaina
Quando si parla di narcos a volte storia e leggenda si intrecciano dietro profili di grande carisma e caratura criminale che hanno conquistato gli onori delle cronache. È il caso di Roberto "Bebè" Pannunzi, detto il “Pablo Escobar italiano”, ma anche “il Copernico della cocaina” o “il re calabrese del narcotraffico”. Nella sua vita precedente il boss era un dipendente Alitalia di origini calabresi. Nel giro di pochi anni diventa il narcotrafficante più ricercato d’Europa, capace di fare “viaggiare” due tonnellate di cocaina al mese dal SudAmerica.
Quando è stato trovato in un centro commerciale di Bogotà portava addosso i documenti di Silvano Martino, una delle tante identità utilizzate. Per riuscire ad acciuffarlo c’è voluta un'operazione congiunta della polizia colombiana, della DrugEnforcement Agency (Dea) statunitense e dell'attività di indirizzo e coordinamento della Direzione Centrale per i Servizi Antidroga sul territorio nazionale e in Colombia. Il tutto dopo indagini condotte sotto l'egida di Nicola Gratteri, all’epoca Procuratore Aggiunto nella Procura della Repubblica - Direzione Distrettuale Antimafia - di Reggio Calabria.
Pannunzi teneva le fila dei rapporti non solo con i cartelli calabresi ma anche con quelli siciliani, camorristici e turchi. Estradato in Italia era stato già arrestato una prima volta anni prima riuscendo però ad evadere dalla clinica privata nella quale era stato ricoverato.
Un pentito d'oro
Domenico Trimboli si faceva, invece, chiamare Pasquale ma nell’ambiente era conosciuto come U Crezia. La sua latitanza è durata quattro anni, lo hanno arrestato in Colombia nel 2013. Era tra i cento latitanti più ricercati d'Italia. Accusato di traffico di stupefacenti e, dopo l'operazione Stupor Mondi, Schumy e Igres, di associazione per delinquere di stampo mafioso, era nato in Argentina ma era originario di Natile di Careri, nella ionica reggina.
Trimboli ha mosso veri e propri oceani di droga e con le sue dichiarazioni, seguite al pentimento del 2015, ha aperto nuovi scenari agli investigatori rivelando le rotte seguite dal clan Mancuso per importare la droga e i codici utilizzati per comunicare.
Un'evasione da film
Rocco Morabito, detto U Tamunga, è diventato noto per l’evasione dal carcere centrale di Montevideo. Dopo essere stato finalmente messo dietro le sbarre dopo 23 anni di latitanza, retate fallite e false identità, il boss d’Africo era stato catturato nel 2017 in un albergo della capitale dell’Uruguay. Non il classico latitante ridotto a fare la vita dei topi Morabito: il boss viveva in una villa con piscina, assegni e soldi in contanti, una Mercedes, 13 cellulari, 12 carte di credito e un passaporto brasiliano. La magistratura italiana aveva condannato in contumacia a 30 anni di carcere per traffico di droga.
L’evasione dal carcere ha destato diversi sospetti, le autorità se ne sarebbero accorte solo dopo sette ore e Morabito fuggì proprio quando l’Italia era riuscita ad ottenere l’estradizione. Considerato il secondo latitante più pericoloso al mondo, dopo Matteo Messina Denaro, è stato acciuffato il 24 maggio 2021 in Brasile in una operazione effettuata dai Ros con polizia, Interpol e polizia federale brasiliana.