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Era il «dominus della compagine criminale». Così la Procura di Palmi definisce il presidente del Catanzaro e titolare della Gicos, Giuseppe Cosentino, finito questa mattina agli arresti domiciliari con l’accusa di aver creato dei fondi neri, nonostante avesse usufruito del cosiddetto “scudo fiscale”, in grado di far rientrare in Italia dei capitali senza incorrere nei problemi con la giustizia.
L’associazione. Cosentino sarebbe a capo di un sodalizio che vede come membri anche la figlia Ambra, il promotore finanziario Stefano Noschese, personaggio chiave dell’inchiesta con la sua professionalità messa a servizio dell’imprenditore, e poi i dipendenti della ditta Marino Carrabbetta, Mariella Viglianisi, Marco Pecora, Caterina Zito, Simona Tedesco, Gessica Trimarchi e Carmela Alì Santoro.
I reati contestati. È soprattutto l’appropriazione indebita il reato che viene contestato a tutti i presunti membri dell’associazione per delinquere. Secondo l’accusa, vi erano due distinti metodi utilizzati per ripulire il denaro. Per un verso i depositi nei conti svizzeri, per altro delle cosiddette vendite in “nero”.
In quest’ultimo caso, venivano effettuati versamenti e depositi di denaro contante derivanti proprio da tali vendite “in nero” e da utilizzazione di fatture per operazioni inesistenti in conti correnti svizzeri o di altre nazioni, somme che dopo essere state detenute in Svizzera tramite società fiduciarie, erano fatte rientrare in larga parte in Italia su conti correnti intestati alla società Sirefid riconducibile a Cosentino tramite lo strumento dello scudo fiscale. C’era poi del denaro derivante da vendite “in nero” fatto transitare sui conti correnti aperti da dipendenti della società Gicos al fine di essere prelevato in contanti – con banconote da taglio di 500 euro – successivamente versato sui conti personali di Giuseppe Cosentino e dei suoi familiari o depositato in cassette di sicurezza intestate a Cosentino ed alla figlia Ambra e portato attraversando la frontiera sui conti in Svizzera dell’imprenditore. Ancora: vi erano somme di denaro detenute nell’abitazione di Cosentino ed in cassette di sicurezza intestate a se stesso ed alla figlia Ambra, denaro accumulato attraverso tali meccanismi illeciti, dal 2006 al 2013 ed oggetto di successiva attività di riciclaggio effettuata da Ambra Cosentino, Stefano Noschese e dai dipendenti indagati. Tra i valori recuperati nella cassetta di sicurezza, vi sono anche 400 monete d’oro. Un meccanismo, quello descritto, che parte dal piccolo centro di Cinquefrondi per giungere poi in Svizzera, Panama e Bahamas. Da qui la contestazione della transnazionalità del reato.
Il ruolo di Ambra. Alla figlia di Cosentino, Ambra, i pubblici ministeri contestano anche il reato di riciclaggio di denaro, aggravato dalla transnazionalità. Per l’accusa, infatti, dopo aver ricevuto ingenti somme di denaro da parte del padre, depositate su conti correnti a lei intestati in Italia e in Svizzera, nonché su cassette di sicurezza, «con più atti esecutivi del medesimo disegno criminoso – si legge nell’ordinanza di custodia cautelare – compiva operazioni di trasferimento, sostituzione ed altre operazioni volte ad ostacolare l’identificazione della provenienza delle somme di denaro derivanti dai delitti di appropriazione indebita, utilizzazione di fatture per operazioni inesistenti, evasione fiscale ed altro, commesse da Cosentino (Giuseppe, ndr) quale amministratore unico della ditta Gicos Import Export».
Il professionista. Anche Noschese, promotore finanziario, è accusato di riciclaggio transnazionale. In particolare, secondo i pubblici ministeri: «Indirizzava Cosentino e la figlia Ambra ad effettuare operazioni d’investimento e trasferimento di valuta presso istituti di credito elvetici; organizzava per conto di Cosentino il trasferimento all’estero di capitali di provenienza illecita; si prestava ad effettuare unitamente ad altre persone non identificare (fra cui il cosiddetto “spallone” e il cosiddetto “titolare) il trasferimento del denaro all’estero, disposto l’otto aprile 2013 da Cosentino, con l’ausilio della figlia, di somme detenute presso due cassette di sicurezza loro intestate.
I reati in tema di armi. È di certo un aspetto marginale, ma fra i capi d’imputazione mossi nei riguardi di Cosentino, emergono anche due ipotesi di reati in tema di armi. E si scopre una passione del presidente del Catanzaro verso il mondo delle armi in generale.
La prima contestazione è di non aver custodito con la dovuta diligenza prescritta un fucile semiautomatico calibro 12 con dieci cartucce e una pistola semiautomatica calibro 7,65; la seconda contestazione riguarda invece 50 cartucce per pistola calibro 38 special detenute senza aver fatto regolare denuncia all’autorità di pubblica sicurezza. Come rimarcato dal procuratore della Repubblica di Palmi, Ottavio Sferlazza, invece, non emergono allo stato collegamenti di alcun tipo con la ‘ndrangheta. Dalle indagini, infatti, è venuto fuori che le condotte contestate al numero uno del Catanzaro calcio sono squisitamente riferibili ad aspetti fiscali.
Consolato Minniti