Giovanni Tegano nipote dell’omonimo boss della ‘ndrangheta, cui il massmediologo Klaus Davi aveva rivolto una lettera per esortarlo a prendere le distanze dagli attacchi postati sul suo profilo Facebook contro collaboratori di giustizia e poliziotti, ha inviato - tramite legali - una lettera ai quotidiani Stretto Web e Gazzetta del Sud.


Nella missiva il legale di Giovanni Tegano precisa che il suo assistito «prende debite e ferme distanze dalle minacce rivolte a Klaus Davi nei giorni scorsi esprimendo piena solidarietà al giornalista». Il legale di Giovanni Tegano si è anche riservato azioni legali nei riguardi dello stesso Davi per aver dato vita a una «campagna di stampa diffamatoria e selvaggia fondata su congetture a dir poco fantasiose e destituite di ogni fondamento poiché gli articoli di Davi avrebbero turbato la tranquillità del Tegano».


Si chiede in particolare «Perché Davi ha mandato la sua lettera ai giornali anziché direttamente e privatamente a Giovanni Tegano».


Pronta la controreplica di Klaus Davi: «Mai detto che Giovanni appartenga alla ‘ndrangheta. Ma prende o no le distanze dagli attacchi a pentiti e poliziotti che ha postato sul suo profilo Facebook nella parte pubblica e accessibile a tutti? Sono comunque pronto ad incontrarlo».

 

‘Ndrangheta, Klaus Davi scrive al nipote del boss Tegano: «Dissociati»

 

La lettera dell’avvocato a Klaus Davi:
“Con la presente intendo intervenire a tutela del mio assistito, il quale si trova, suo malgrado, coinvolto in una querelle mediatica nonostante, sino a oggi, sia rimasto sostanzialmente inerte, preferendo adottare una condotta schiva e riservata. Purtroppo per il mio assistito tale lodevole intendimento non ha dato i frutti sperati e, seppur con poche parole, per mantenere fede a quella condotta che lo ha contraddistinto sinora, tramite il sottoscritto legale è costretto a rispondere a quanto insinuato “garbatamente” da tale sig. Klaus Davi.


Desidero innanzitutto informarvi che è intenzione del sig. Giovanni Tegano intraprendere nei giorni a venire, e qualora lo riterrà opportuno, in tutte le competenti sedi giudiziarie, qualsiasi azione che la legge prevede per tutelare l’immagine, l’onore e la reputazione dello stesso, gravemente e reiteratamente lese da tale selvaggia campagna di stampa fondata su esternazioni e congetture a dir poco fantasiose e destituite da ogni fondamento.


Inoltre, non può tacersi che, dapprima la lettera e successivamente gli articoli a corredo, abbiano turbato la tranquillità del Tegano.


Ma andiamo con ordine;
Il sig. Klaus Davi, dopo avere visitato il profilo personale di Facebook del sig. Giovanni Tegano, lo ha velatamente accusato di fare parte della “ndrangheta”, dando risalto al contesto familiare al quale appartiene e usando ad arte e in maniera assolutamente strumentale alcune frasi che il mio assistito ha pubblicato sulla pagina personale; frasi che si possono prestare a varie interpretazioni che, “ovviamente”, il sig. Klaus Davi ha utilizzato in maniera surrettizia a sostegno della sua “accusa”.


In particolare, mi domando qual è la motivazione che ha spinto il sig. Davi a indirizzare ai quatidiani on-line la missiva dallo stesso definita come “mossa da intenti quasi paternalistici” e a non indirizzarla direttamente e privatamente alla persona del mio assistito, come davvero avrebbe fatto un padre di famiglia!? Forse l’intento paternalistico coincide con quello “pubblicitario” ma forse…


Superfluo appare disquisire, in tale contesto, del contenuto di tali frasi, che, benchè alcune moralmente ed eticamente deplorevoli, sono state scritte e pubblicate da un ventenne nel proprio profilo personale, e che, non sembrano ictu oculi possedere elementi idonei a configurare nessuna ipotesi di reato tali da giustificarne la traslazione al di fuori della sfera personale del soggetto.


Appare inoltre inutile ricordare che, nonostante il soggetto porti quel nome così pesante e sia il nipote dell’anziano “boss” Giovanni Tegano, non solo non ha mai riportato alcuna condanna ed è un soggetto incensurato, ma non è mai stato coinvolto in nessuna indagine di mafia e di criminalità organizzata, a meno che il Davi non abbia notizie diverse che configurerebbero il reato di cui all’art. 326 c.p..


Orbene, si ritiene irresponsabile che, per garantire i livelli di ascolto e/o di lettura, si distrugga “sottilmente” l’immagine e la dignità di una persona, consentendo la pubblicazione di una lettera che, sulla base di mere congetture, la presenta a migliaia di lettori quale esponente di un clan mafioso.


Da ultimo, ci si duole dell’accostamento indiretto del mio assistito, il quale prende le debite e ferme distanze esprimendo piena solidarietà al giornalista, alle minacce subite da quest’ultimo successivamente alla pubblicazione della lettera di cui si parla.


Solo per completezza espositiva, si rammenta che è stato pacificamente affermato che ricorrono gli estremi dell’offesa ingiusta, integrante il reato di diffamazione, “anche quando l’addebito sia espresso in forma tale da suscitare il semplice dubbio sulla condotta disonorevole. Per di più, l’intento diffamatorio può essere raggiunto, oltre che con espressioni non vere e non obiettive, pure con mezzi indiretti ovvero con subdole ed insinuanti allusioni, che sono anch’esse idonee a ledere l’altrui reputazione”.


Si ricorda, infine, che il soggetto attivo del reato p e p dall’art 596 bis c.p. è, in primo luogo, l’autore dello scritto dal contenuto diffamatorio. Inoltre, ai sensi dell’art. 57 c. p., nonchè dalla normativa sulla stampa (l.8 febbario 1948, n. 47, Disposizioni sulla stampa) come accennato, è responsabile anche il direttore del periodico: a titolo di concorso (quando pur consapevole della potenzialità offensiva delle espressioni utilizzate nell’articolo, ne abbia, ugualmente autorizzato la pubblicazione) ovvero per fatto proprio (se l’evento lesivo, pur non essendo voluto dal direttore, non si sarebbe verificato se avesse impiegato la dovuta diligenza nel controllare gli scritti destinati alla pubblicazione). Inoltre, per i reati commessi col mezzo della stampa sono civilmente responsabili,in solido con gli autori del reato, il proprietario della pubblicazione e l’editore (art. 11 l.s.). Tanto era dovuto, con ossequio, avv. Pasquale Reitano“.

 

Klaus Davi: «Sono minacciato di morte su Facebook dalla ‘ndrangheta»


La replica del massmediologo:
“Ringrazio sentitamente Giovanni Tegano per la solidarietà espressami, tramite l'avvocato Pasquale Reitano, per le minacce subite e, ancorché tardiva, preciso che non l’ho mai diffamato invitandolo a trovarsi un lavoro e a prendere le distanze da frasi contro collaboratori di giustizia e poliziotti che lui ha scelto, da maggiorenne quale è, di postare pubblicamente sul suo profilo.


Ribadisco di non aver mai detto che Giovanni appartiene alla ‘ndrangheta, in nessun passaggio della mia lettera ad articolo pubblicato da quotidiani o mandato in onda da televisioni vi sono passaggi in tal senso. Ritengo che della sua reputazione non sia lesiva la mia lettera, espressa con tono civile ed educato, redatta allo scopo di indurlo a riflettere sui suoi attacchi alla Stato, quelli si lesivi della sua immagine. Se poi Giovanni Tegano intenderà procedere in termini legali, sarò ben lieto di portare la vicenda all'attenzione dell'opinione pubblica con ulteriore e decisa energia.


Saranno i magistrati nella loro sacrosanta autonomia a decidere chi ha ragione e l'opinione pubblica a valutare, sulla base dei fatti, chi ha offeso chi. A rivederci molto presto, ad Archi. Se in quella occasione, Giovanni Tegano vorrà incontrarmi, sarò ben lieto di farlo anche per capire se prende o no le distanze dai suoi post contro collaboratori di giustizia, poliziotti e carabinieri”.