Sessant’anni di ’ndrangheta condensati nelle 144 pagine del decreto che ha deciso il sequestro di beni per 6 milioni di euro. Pagine piene di racconti e rivelazioni dei pentiti su Rosario Barbaro, 84 anni. Rosi da Massara – questo il suo soprannome – è per tutti i collaboratori un “capo società” di Platì: la serie A della criminalità organizzata calabrese. E anche un po’ più in là: Barbaro è cognome che evoca il potere mafioso in Italia (soprattutto in Lombardia) e all’estero.

I verbali di Rocco Marando risalgono al 2009, quando il pentito aveva 40 anni. Oltre al racconto della sua affiliazione tra il 1990 e il 1991 con la ’ndrina Marando-Trimboli e del narcotraffico tra Platì e il Nord Italia (Piemonte e Lombardia). Già a quell’epoca, Marando indica «Rosario Barbaro come elemento apicale della locale di Platì» e fa i nomi dei capi di tre famiglie del centro aspromontano: «Le tre famiglie in questione – si legge nel decreto di sequestro – avevano molteplici vincoli parentali dovuti a matrimoni che avevano rafforzato la loro unione anche criminale». Questo Marando lo racconta in un verbale del 4 luglio 2012.

Le sue dichiarazioni del 2009 nel processo Minotauro mostrano ai pm della Dda di Torino sul mondo parallelo di Platì, dove Rosario Barbaro e il suo ristorante hanno un ruolo importante negli equilibri mafiosi. In quel locale si sono sposati «tutti» secondo Marando. L’interrogatorio del collaboratore di giustizia è un piccolo trattato antropologico: racconta di tre matrimoni in una settimana. «Lei ha festeggiato il giorno più importante della sua vita nell’immobile di proprietà di Rosario Barbaro?», chiede l’avvocato. «Diciamo – è la risposta – se gliela voglio dire non ero neanche contento quel giorno, ma comunque non è che comandavo… non comandavo neanche io nella mia vita». Avrebbe deciso tutto uno dei fratelli che «al ristorante ha voluto fare là», chez Barbaro. Avrebbe pure pagato tutto lui.

Marando lo ripete più volte: «No, non l’ho scelto io, non l’ho scelto io, hanno fatto tutto loro, il menu giornaliero, quello che era». L’avvocato insiste: «E con chi avete trattato la questione? Cioè, avete fissato la data del matrimonio, avete scelto il giorno del matrimonio, la sala, con chi avete avuto a che fare lei e sua moglie?». La richiesta è finalizzata a capire chi siano i veri intestatari del ristorante. Marando, però, non è di grande aiuto. La sua risposta restituisce, di nuovo, un piccolo spaccato di sottocultura mafiosa: «Mia moglie? Mia moglie solo le ho messo l’anello e basta (…) mia moglie non abbiamo mai avuto a che fare, solo quando eravamo in chiesta è diventata mia moglie, e basta, vabbè, comunque». Unioni combinate, ristorante di un capoclan, portate e organizzazione decisi dai vertici della cosca: scene da un matrimonio nel sottobosco ’ndranghetista di Platì.

Anche Domenico Agresta, Micu Mc Donald, parla di Rosario Barbaro. Altro pentito che custodiva i segreti della ’ndrangheta al Nord, Agresta non ha dubbi quando vede la foto dell’anziano capobastone: «Questa persona è stata certamente capo locale a Platì». Ne conosce il soprannome, Rosi da Massara e sa che è proprietario dell’«unico ristorante di Platì dove fanno i matrimoni» anche se non sa se ne è anche «intestatario». In quel posto, il collaboratore che guidava il locale di Volpiano, andava «quando era bambino a mangiare nei matrimoni, non fa… è un ristorante che fa solo matrimoni». E soprattutto matrimoni di ’ndrangheta, quelli in cui a volta il marito e la moglie si incontrano (forse) per la prima volta in chiesa senza essersi mai frequentati.

Prima sull’altare e poi al ristorante, dove – sempre secondo Marando – «si vede con gli uomini di ’Ndrangheta e di tutto». Quel locale sarebbe stato «fabbricato con i soldi della forestale (…) i soldi del Comune di Platì, con quei soldi là ha fatto il ristorante lui e con un po’ di sequestri». Anche il ristorante dei matrimoni di ’ndrangheta è finito sotto sequestro assieme ai beni per 6 milioni che l’84enne di Platì avrebbe accumulato in più di 60 anni di “servizio” per i clan dell’Aspromonte.