Il boss di Cosa Nostra tenta di allontanare da sé le responsabilità per l’omicidio del figlio del pentito: «Questa situazione mi dà fastidio, è la cosa a cui tengo di più. Non c’entro. Al più mi devono appioppare il sequestro di persona» (ASCOLTA L'AUDIO)
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«Mi ascolti, mi possono mettere in croce nella vita, mi sta pure bene, non ho niente da recriminare a nessuno, ma io il bambino non l’ho ucciso e mi dà fastidio ‘sta situazione. Forse è la cosa a cui tengo di più». Ci sono tante mezze verità nell’interrogatorio di Matteo Messina Denaro, depositato agli atti dei processi che lo riguardano. Su un fatto, però, il boss di Cosa Nostra sembra voler rimarcare la sua estraneità con maggiore vigore. Lo fa parlando con i magistrati della Dda di Palermo, provando a spiegare che lui, con l’uccisione del piccolo Giuseppe Di Matteo, non c’entra nulla.
Chi è Giuseppe Di Matteo, il bambino sciolto nell'acido
Giuseppe Di Matteo è il figlio di Santino Di Matteo, uomo d’onore appartenente alla famiglia di Altofonte, vicina ai corleonesi. Il 4 giugno del 1993 Santino viene arrestato e ben presto decide di collaborare con la giustizia. L’11 gennaio del 1996, il piccolo Giuseppe, dopo 779 giorni di prigionia, viene ucciso e sciolto nell’acido per mano del gruppo dei Brusca, essendo tenuto prigioniero nel territorio del mandamento di San Giuseppe Jato. Per quel delitto sono stati condannati all’ergastolo: Giovanni Brusca (oggi non più in carcere per i benefici della legge sui collaboratori), Leoluca Bagarella, Matteo Messina Denaro, Giuseppe Graviano, Salvatore Benigno, Francesco Giuliano e Luigi Giacalone. Monticciolo è stato condannato a 20 anni di carcere, Enzo Brusca a 30 anni (anche per altri fatti di sangue), Vincenzo Chiodo a 21 anni e Gaspare Spatuzza a 12 anni.
C’è una sentenza che smentisce Messina Denaro e ne decreta le responsabilità. Eppure l’uomo ricercato per trent’anni, in mezzo a tanti fatti di cui è accusato, sceglie proprio quello del piccolo di Matteo.
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Il «fastidio» di Messina Denaro
L’eloquio del boss siciliano, davanti ai magistrati della Dda palermitana, si fa un po’ meno sciolto del solito. Anche la trascrizione tradisce un certo nervosismo: «Però se avete cinque minuti, perché è una cosa che mi infastidisce molto». E soggiunge: «… Forse è la cosa a cui tengo di più». I magistrati gli danno cinque minuti per dire ciò che vuole. Messina Denaro se li fa bastare.
La sua versione sull’omicidio Di Matteo
Il boss parte da un assunto: se dovesse spiegare come stanno le cose alla sua maniera, direbbe «non so niente» e la vicenda si chiuderebbe lì. In realtà – sostiene – bisogna fare i conti con quel che ha detto Giovanni Brusca. «Io – rimarca Messina Denaro – mi devo difendere». «Allora, ad un tratto Giovanni Brusca mi accusa che io ho sciolto nell’acido il bambino e questa è una cosa… mi ascolti, io non sono un santo (…) Allora, lui dice che ad un tratto, in un paese, non so dove, ci incontriamo: lui, Giuseppe Graviano – un Graviano, non tutti e due – Bagarella ed io e dice “Là si decide di sequestrare questo bambino, per fare ritrattare il padre”, ci siamo fino a là? Allora che cosa succede? Che… quello che dirò ora non è importante per lei e va bene così io dico: ma che c’entro io con le cose di San Giuseppe Jato e di Altofonte, che sono a fianco? Io di Trapani sono; ma facciamola passare. Lei mi insegna che un sequestro di persona ha una sua finalità, che esclude sempre l’uccisione dell’ostaggio, perché un sequestro a cosa serve? Ad uno scambio: tu mi dai questo ed io do l’ostaggio; ma prendi anche un ostaggio ora, anche nei sequestri per soldi, se lei non ha la prova dell’essere in vita della persona, non è che mi dà soldi, quindi il sequestro non è mai finalizzato all’uccisione, io credo, di quello che capisco della vita. Sequestrano questo bambino – quindi io sono come mandante, mandante del sequestro – sequestrano questo bambino, lui non dice che c’ero io; ci sono altri pentiti, non lo dicono nemmeno. Ad un tratto arrestano prima a Graviano e poi al Bagarella, quindi di questo discorso che dice lui, di quattro diventiamo due. Vero è che lui dice che aveva due covi nella provincia di Trapani, giusto? Quindi addossandola a me, due covi, ma due covi per sequestrato, non per ammazzare a qualcuno. Ad un tratto lui resta solo in tutta questa situazione, passa del tempo, un anno/due anni, dice – lui dice – si trova davanti la televisione ed il telegiornale dà la notizia di… che lui era stato condannato all’ergastolo per l’uccisione dell’esattore Ignazio Salvo, ci siamo? Impazzisce, prende il telefonino e telefona a suo fratello; suo fratello era in un bunker della casa in campagna, dove poi effettivamente fu ucciso il bambino e ci dice, in siciliano: “Alliberateve de lu cagnuleddu”, lui lo dice, non è che lo dico io. Quindi già lui, per un colpo dire, dà ordine di uccidere questo ragazzino, bambino. Lui poi si fa… si parte, va nel covo di San Giuseppe, scende laggiù e c’era suo fratello ed altri tre affiliati a loro; dei tre, io mi ricordo il cognome di uno, un certo Chiodo, gli altri due non ci penso, però sono tutti e cinque pentiti. Che dicono tutti e cinque? Che il bambino lo ha ucciso Vincenzo Brusca; quando arrivò lui, lo hanno sciolto nell’acido. Punto. Alla fine andò a finire che ‘sto bambino l’ho ammazzato io, dovunque c’è un inferno per ‘stu bambino e nessuno, dico, si prende… anche per un fatto di onestà, dice ma… allora se io, a tutta coscienza procuratore De Lucia, se io devo andare in quel processo, che è ormai Cassazione, devo andare per sequestro di persona, perché lui lo dice che all’inizio non fu – mi difendo su quello che dice lui – lui lo dice che all’inizio non fu per l’omicidio. Quindi a me perché mi mettete, non voi, il sistema – come mandante per l’omicidio, quando lui dice che poi non ci siamo visti più? Decise tutto lui, per l’ira dell’ergastolo che prese. Ed io mi sento appioppare un omicidio, invece secondo me mi devono appioppare il sequestro di persona; non lo faccio per una questione di 30 anni o ergastolo, per una questione di principio».
La rabbia di Messina Denaro traspare dalle sue espressioni: «E poi a tutti… cioè loro lo hanno ammazzato, lo hanno sciolto nell’acido ed alla fine quello a pagare sono io? Cioè, ma ingiustizie quante ne devo subire? Ma non è che voglio dire che voglio fare la vittima, non ne voglio fare vittimismo, non sono uomo di questo, però “diamo a Cesare quel che è di Cesare”. Tutto contro di me, ma perché?».
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La “non risposta” alle domande dei pm
Fin qui le verità di Messina Denaro. Ma quando si tratta di rispondere alle domande dei pubblici ministeri, il boss si irrigidisce e tenta di sfuggire. Lo scambio integrale consente di cogliere a pieno quanto accaduto.
PM1: La riunione non l’ha manco fatta, se ho capito bene…
MMD: No, lei però…
PM1: … Cioè lei parte da un fatto: che mancò l’ordine di sequestrarlo, giusto?
MMD: No, io non ho detto così: io all’inizio ho detto: se io mi devo difendere a modo mio, dico “Io non c’entro niente”…
PM1: Io questo le sto dicendo: lei ha partecipato al sequestro, ha ordinato il sequestro, ha concordato il sequestro, sì o no?
MMD: No, mi ascolti… no, mi ascolti, se io mi devo difendere a modo mio, “Non sono io…”; se io mi devo difendere dalle accuse che mi fa una persona, giusto? Ed arrivo ad un processo con me presente, io devo seguire il corso che fanno le accuse, è inutile che dico “Non so niente”…
PM1: Sì, però lei si ferma al primo gradino, cioè lei non ha proprio partecipato manco all’ideazione del sequestro…
MMD: Ma non c’è motivo, Procuratore…